Ilaria Salis esce dal carcere e, come spesso è già accaduto in situazioni simili (del tipo: militanti di sinistra che finiscono in guai giudiziari fuori dai confini nazionali per poi richiedere aiuto al sistema statale, quello italiano, dal quale sono fuggiti e che combattono, ricevendo buone notizie dal governo di centrodestra. Un precedente: Patrick Zaki in Egitto), nemmeno un grazie al governo si è levato da lei, né dai suoi familiari, né dalla parte politica che ne ha fatto una bandiera.
Il “lavoro discreto” del governo contro la propaganda della sinistra
Siamo garantisti: alla fine, è bene che la connazionale sia uscita finalmente dall’anno e mezzo di carcere preventivo, con la concessione del regime dei domiciliari da parte del tribunale ungherese di seconda istanza. Gli unici vincoli: 40mila euro di cauzione un braccialetto elettronico, per permettere alle autorità di Budapest di monitorare la posizione della Salis. La cauzione verrà pagata dalla sua famiglia. Ora il lavoro dell’esecutivo continua verso il rientro in Italia dell’attivista di estrema sinistra. Questo l’obiettivo della Farnesina, ma da superare ci sono alcune differenze normative in materia che al momento ostacolano il processo. Il ministero degli Esteri avrebbe già chiesto di entrare in possesso della documentazione pertinente, e il suo titolare, il vicepremier Antonio Tajani, intervistato da Libero, ha spiegato che “spetterà poi ai suoi avvocati presentare la richiesta per farle fare i domiciliari in Italia, e se la richiesta sarà accolta potrà tornare”. Tajani ha poi sottolineato come questo primo passo verso il rientro di Salis in Italia sia merito del Governo Meloni: “Se questa prima parte della vicenda si è risolta positivamente, con la concessione degli arresti domiciliari, non è certamente grazie all’innalzamento dei toni o alla propaganda elettorale. In casi simili – ha spiegato – il lavoro discreto conta più del rullo dei tamburi e delle urla”. Non la politicizzazione di un caso giudiziario, né la propaganda elettorale. Non i riferimenti, immancabili, al fascismo e neppure l’aver candidato Ilaria Salis alle europee. Nulla di tutto questo ha permesso la scarcerazione dell’attivista, merito, invece, del lavoro silente degli organi diplomatici, di “decine di incontri” con i rappresentanti di Budapest, della nostra ambasciata che “ha tenuto rapporti positivi con le autorità ungheresi”. Merito della serietà di un governo, che non si è lasciato influenzare dai toni arcigni e polemici delle opposizioni, che si è mosso prudentemente e con diplomazia, forte della sua caratura ormai internazionale. Merito dunque anche di Giorgia Meloni, che ha saputo rinnovare l’immagine italiana agli occhi dei partner esteri intrattenendo buoni rapporti con tantissimi leader nel mondo, tra cui anche Viktor Orban. Celebre, in tal senso, l’incontro tra Meloni e il presidente ungherese di alcuni mesi fa, in seguito al quale Orban venne convinto dalla premier italiana ad accettare l’accordo europeo per l’invio di armi in Ucraina. In quell’incontro, si parlò anche della Salis.
Sinistra ingrata
Tuttavia, per gli esponenti della sinistra sarebbe stato troppo difficile pronunciare un grazie per il lavoro della Farnesina e del governo. Anche in questo caso, come già successo per Zaki e per Chico Forti, nessuno è riuscito a riconoscere i meriti dell’esecutivo. In primis il padre, Roberto Salis, che ovviamente si dice felicissimo di poter riabbracciare la figlia, ma che non ha rivolto all’esecutivo italiano parole diverse da quelle tipicamente pronunciate dai detrattori: “Paghiamo il ministro della Giustizia e degli Esteri – ha detto – per lavorare per noi, e non abbiamo visto nessuna attività concreta per risolvere il problema. Non ho dei sassolini nelle scarpe, ma della ghiaia grossa, quella che si usa per il calcestruzzo, ho i piedi insanguinati”. Per lui, i meriti non spettano a Farnesina e Governo Meloni, ma alla “mobilitazione politica”, che – ha detto – “è stata fondamentale”. E sul carro dei vincitori ci è salita volentieri, autoinvitata, la sinistra, in tutte le salse. A partire da Elly Schlein: “Ora speriamo che Ilaria possa tornare presto in Italia, in sicurezza, e ci aspettiamo che il governo si adoperi”. Elly, mesi fa, allo scoppio del caso in Ungheria, aveva avuto anche la brillante idea di candidare la Salis alle europee, ma è stata frenata da qualcosa: probabilmente, dal fatto che l’accusa (aver aggredito dei militanti di estrema destra) è abbastanza seria; o forse, dalle 4 condanne e le 29 segnalazioni che già gravavano sulla sua fedina penale in Italia.
Opportunismo finito male
Niente paura: alla titubanza di Elly hanno risposto subito Bonelli e Fratoianni, il verde e il neo-comunista che, dopo aver fatto approdare in Parlamento Aboubakar Soumahoro, rinnegandolo pochi giorni dopo la sua elezione, ora inseriscono nella loro lista, Avs, per il Parlamento europeo nomi quali Christian Raimo, padre della teoria “i neonazisti vanno picchiati”; Souzan Fatayer, docente universitaria che sui social scrive “I sionisti sono nazisti”; e appunto Ilaria Salis. Anche il fantastico duo ha ignorato i meriti del governo e ha spiegato che “questo obiettivo [il regime dei domiciliari per la Salis, n.d.r.] si deve innanzitutto alla tenacia della famiglia Salis”. Ma a sinistra, e soprattutto Bonelli e Fratoianni, vanno compresi: con la scarcerazione della Salis, per giunta per merito della cooperazione di due governi di destra, è venuto meno il maggiore argomento per la loro campagna elettorale…
Con tutti quei bei precedenti, spero che i 24 anni possibili di condanna se li passi tutti in Ungheria. In Italia troverebbe qualche giudice cog….ne che la farebbe uscire in 5 minuti.
Al magnifico duo sono rimasti solo i vetri a cui aggrapparsi per trovare argomentazioni contro il Governo. Ottima la strategia di sottrarle alla loro brama di infangare.