Indagato per peculato: la parabola discendente di Domenico Arcuri.

È metà febbraio, a palazzo Chigi da poco è di stanza Mario Draghi e Arcuri siede ancora al vertice della struttura commissariale, quando il Nucleo di polizia valutaria della Guardia di finanza procede con maxisequestri  per 70 milioni di euro, in virtù di un’inchiesta della procura di Roma su di una commessa di 800 milioni mascherine dalla Cina per il valore di 1,2 miliardi.

Sono indagati e sottoposti a misure cautelari Mario Benotti, giornalista Rai in aspettativa e presidente del consorzio Optel, Andrea Vincenzo Tommasi, Antonella Appulo, Daniela Guarnieri, Jorge Solis San Andrea, Daniele Guidi, Georges Khozouzam e Dayanna Solis Cedeno. In base alla prospettazione della procura, gli indagati avrebbero costituito un comitato d’affari e accreditandosi presso le pubbliche amministrazioni si sarebbero fatti intermediari per l’acquisto dei lotti di mascherine cinesi, lucrando provvigioni per milioni di euro. In particolare, Benotti avrebbe sfruttato la sua personale conoscenza con Domenico Arcuri per accaparrarsi le commesse di intermediazione commerciale con le cooperative cinesi. L’applicazione di un prezzo eccessivo sulle mascherine avrebbe garantito la remunerazione dell’intermediazione milionaria, dunque indirettamente i costi sarebbero ricaduti sulla struttura commissariale del governo.

Su Arcuri, allora ancora non indagato, si concentrano le attenzioni della stampa e dell’opinione pubblica, chiamato dunque in causa, prima del canto del gallo, si affretta a smentire ogni legame con Benotti.

Ma la situazione per l’ex commissario inizia a farsi pesante, quando il 22 febbraio lo stesso Benotti, invitato in trasmissione da Porro, spiattella tutti i messaggi e i contatti telefonici intercorsi con Arcuri dal gennaio al maggio 2020: più di 1.200 telefonate che si interrompono bruscamente e misteriosamente il 7 maggio. Il perché di questa repentina interruzione lo spiega Benotti, che racconta di aver ricevuto una visita da Arcuri, durante la quale gli riferiva che da palazzo Chigi lo informavano di un’inchiesta in corso per la vicenda mascherine, pregandolo di non contattarlo più.

Inizia dunque a tremare la terra sotto i piedi del protégé di Conte, a cui il governo aveva affidato tutto l’affidabile, dai dispositivi sanitari, passando per i banchi a rotelle, fino a siringhe e primule promozionali. Anche la stampa blasonata inizia a lapidare il sino ad ora intoccabile Arcuri e sotto una gragnuola di colpi mortiferi viene massacrato a suon di inchieste.

Ma anche Fratelli d’Italia ci mette del suo e all’inizio del mese di marzo il presidente Meloni  consegna nelle mani di Draghi un dossier circostanziato e esaustivo, in cui viene smontata punto per punto tutta l’attività del super commissario sin dall’inizio della pandemia, compreso il pasticciaccio brutto delle mascherine.

In un parossistico crescendo di sventure, il primo marzo il presidente Draghi solleva Arcuri dall’incarico di commissario straordinario e passa il testimone al generale Figliuolo.

Oggi, da tutto e tutti abbandonato, seppur ancora inspiegabilmente al vertice di Invitalia, società integralmente partecipata del MEF, pare che la procura della repubblica Roma lo abbia iscritto sul registro degli indagati per peculato proprio nell’inchiesta mascherine cinesi. L’ex commissario afferma tetragono di non essere a conoscenza della cosa e che comunque è pronto a collaborare.

Dalle (5) stelle, grazie alla potente tutela di Conte, alle stalle dei corridoi di Piazzale Clodio, il buon Arcuri ora si dovrà difendere e per quanto a parole si dimostri collaborativo, la sensazione è che si avvarrà della facoltà di non rivelare il perché abbia negato sfacciatamente i rapporti con Benotti, nonostante le 1200 telefonate intercorse … ma non disperiamo, perché lo accerterá la magistratura.

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