Le scelte degli elettori sono diventate, soprattutto nell’ultimo decennio, sempre più imprevedibili, capaci di mettere in difficoltà anche i sondaggisti più bravi. Ciò sta accadendo pressappoco in tutte le democrazie del mondo, in particolare in quelle occidentali, dagli Stati Uniti all’Europa e senza escludere, a quanto pare, neppure l’America Latina. Abbiamo assistito alla vittoria, pronosticata da pochi, di Donald Trump negli Usa e all’affermazione della Brexit nel Regno Unito, quando la maggioranza degli analisti scommetteva sicura di sé sul fatto che i sudditi di Sua Maestà avrebbero votato in massa per rimanere nella Unione europea. In Italia vi sono stati exploit significativi, seguiti però da rapidi declini, di realtà come il Movimento 5 Stelle e il Partito Democratico guidato da Matteo Renzi, e anche il successo di Giorgia Meloni, di Fratelli d’Italia e del centrodestra tutto, si è rivelato per alcuni aspetti sorprendente.
Certo, vi era nell’aria un sentore favorevole alla proposta politica dell’attuale Presidente del Consiglio, ma pochi riuscivano ad immaginare dimensioni e portata dell’avanzata meloniana, rivelatasi poi un vero e proprio trionfo. L’elettorato è sempre più mobile e sono ormai un ricordo i cosiddetti partiti-chiesa, tipici in Italia durante la Prima Repubblica, dotati di uno zoccolo duro di elettori quasi inscalfibile. Nessuno, neppure chi ha il vento in poppa in termini di consenso, può permettersi oggi in politica di dormire sugli allori e pensare di poter vivere di rendita grazie ad un blocco di aficionados che mai cambieranno idea.
Il corpo elettorale, soprattutto se deluso e arrabbiato, cambia idea eccome e lo fa in modo sempre più repentino. L’Argentina non si sottrae a tale regola e le ultime elezioni primarie lo hanno certificato ampiamente. Il Paese del tango, terra lontana a livello geografico, ma vicina all’Italia per radici e tradizioni, (le passate migrazioni italiane hanno segnato quel luogo), dispone di un sistema di consultazioni primarie che si tengono il medesimo giorno per tutti i partiti e le coalizioni in campo, e servono ad individuare i vari candidati, di destra, di centro e di sinistra, i quali andranno poi a competere per la conquista della presidenza della Repubblica federale. Le primarie argentine costituiscono anche una sorta di test pre-elettorale che mette alla prova la capacità delle forze politiche di mobilitare e coinvolgere la base e i comuni cittadini. Il risultato delle primarie tenutesi qualche giorno fa è stato più che sorprendente e ha destato l’attenzione dei media di gran parte del mondo, inclusi quelli italiani.
La partita si sarebbe dovuta svolgere in particolare fra due coalizioni: Juntos por el Cambio, (Insieme per il cambiamento), un’alleanza di partiti largamente di centrodestra creatasi attorno all’ex presidente Mauricio Macrì, e Union por la Patria, raggruppamento peronista di sinistra che fa riferimento all’attuale presidente argentino Alberto Fernandez e alla sua vice Cristina Kirchner, già stata la numero uno della Casa Rosada, sede della presidenza della repubblica federale argentina, dal 2007 al 2015. I due schieramenti non sono del tutto omogenei perché vicino a Mauricio Macrì vi sono anche forze etichettabili come centrosinistra, e insieme alla sinistra peronista di Cristina Kirchner, e del suo defunto marito Nestor, animatori del cosiddetto peronismo K, compaiono pure alcuni conservatori dichiarati.
Spiegare la politica argentina non è facilissimo perché il Paese del tango è stato oggetto, a partire dal 1947, di un esperimento ideologico originale, poco imitato nel resto del mondo, anche nella stessa America Latina, ad opera del generale Juan Domingo Peron. Quest’ultimo, diventato presidente dell’Argentina, (i mandati furono due, dal 1946 al 1955, e dal 1973 sino alla morte sopraggiunta l’anno dopo), all’inizio della propria leadership diede vita ad un pensiero politico, definito appunto come peronismo, che coniugava idee socialiste con il patriottismo e il conservatorismo circa i temi etici. Dall’iniziale Partito Peronista nacque il Partito Giustizialista, esistente tutt’oggi, che ha espresso molti presidenti dell’Argentina moderna e dal cui cilindro sono usciti, non a caso, sia personaggi di sinistra, se non di estrema sinistra, come i coniugi Kirchner, sodali del presidente brasiliano Lula da Silva, dei bolivariani venezuelani Hugo Chavez e Nicolas Maduro, e di tutti gli altri leader latinoamericani colorati di rosso, che liberisti quasi reaganiani come Carlos Menem, inquilino della Casa Rosada per un decennio, dal 1989 al 1999 e scomparso nel 2021.
L’eredità di Peron, nonostante siano trascorsi già quasi cinquant’anni dalla dipartita del generale, determina in larga parte ancora oggi la vita politica argentina ed è normale quindi, se consideriamo la particolare Storia del peronismo, che tuttora vi sia una competizione fra schieramenti eterogenei al loro interno e, per così dire, confusi. Ma, in buona sostanza, possiamo considerare di centrodestra l’alleanza Juntos por el Cambio dell’ex presidente Macrì, e di sinistra la Union por la Patria sponsorizzata da Cristina Kirchner e dal presidente Fernandez. Però, e qui risiedono la novità e la sorpresa apportate dalle ultime elezioni primarie, un terzo gruppo di partiti alleati, (si tratta di soggetti politici conservatori, libertari e peronisti di destra), riunitisi sotto la denominazione “La Libertad Avanza”, è riuscito non solo ad infilarsi fra i due maggiori poli sopra citati, bensì a superarli entrambi in maniera del tutto inaspettata. Le primarie argentine aggiudicano il primo posto proprio a La Libertad Avanza, mentre al secondo si piazza lo schieramento di Mauricio Macrì e le forze vicine al presidente e alla vicepresidente attuali giungono invece terze e ultime.
I conservatori e i libertari usciti vincitori candidano alla Casa Rosada, per le elezioni presidenziali del 22 ottobre prossimo, l’economista, docente e deputato Javier Milei, il quale, da posizioni conservatrici, liberiste e libertarie, si è fatto notare per la conduzione di un’aspra e continua polemica contro gli ultimi tre presidenti, Alberto Fernandez, Mauricio Macrì e Cristina Kirchner, attraverso più mezzi di comunicazione, dalla radio a YouTube.
In Italia è già stato definito in mille modi e paragonato a più personaggi, da Beppe Grillo, per i suoi toni anti-casta, (in effetti, rappresenta un fenomeno politico nuovo e dirompente rispetto al peronismo d’antan, sia moderato che di sinistra), a Donald Trump e l’ex presidente brasiliano Jair Bolsonaro, a causa di un conservatorismo politicamente scorretto, (scorretto per gli ipocriti radical-chic s’intende), che, per esempio, avversa giustamente l’imposizione di una sola versione circa il cosiddetto cambiamento climatico.
C’è già chi si prodiga a fare passare Javier Milei come il cattivo di turno, dando risalto a immagini nelle quali il vincitore delle primarie argentine appare con espressioni facciali aggressive o con il volto corrucciato e quasi mai sorridente, come accadeva ed accade con l’ex presidente Usa Trump. Bisogna spingere insomma sulla caricatura di un leader poco rassicurante e magari anche un tantino squilibrato. Milei ha le basette da anni Settanta e una capigliatura scapigliata alla Boris Johnson, ma il candidato presidente di La Libertad Avanza non è un caciarone anti-politico che urla soltanto e non propone, e non è nemmeno un estremista di destra come pure viene ritenuto da molti. Si scaglia sì contro chi ha governato l’Argentina nell’ultimo ventennio, ma propone in alternativa una visione e delle idee concrete, che possono essere condivise in toto o anche solo in parte oppure ancora, venire rifiutate. Però, non si può dire che Javier Milei sia soltanto un paladino anti-casta senza contenuti riconoscibili, alla Grillo prima maniera insomma.
Milei ha radunato attorno a sé molti giovani, facendoli appassionare, cosa per nulla scontata, a tematiche economiche e spiegando loro i princìpi della Scuola economica austriaca, che è un po’ più datata di Instagram e Tik Tok ai quali i ragazzi di oggi dedicano gran parte del loro tempo. Eppure, questo economista, ancor prima che politico, con un linguaggio evidentemente efficace rende fruibili ai giovani degli argomenti complessi. La Scuola economica austriaca è quella scuola di pensiero alla quale si sono sempre ispirati i libertari e i liberisti di tutto il mondo, anche ascrivibili al campo conservatore, e Javier Milei è un po’ tutto questo.
Sostiene la concezione dello Stato minimo ed è conservatore sociale in merito ai valori tradizionali ed etici. Tanti anni di kirchnerismo o peronismo K, dalla elezione di Nestor Kirchner nel 2003 al subentro della moglie Cristina e sino a giungere all’attuale presidente Fernandez, appartenente alla medesima corrente, caratterizzati da nazionalizzazioni e politiche socialiste, hanno probabilmente stancato gli argentini, in particolare i più giovani, ed essendo questa, come abbiamo detto, un’epoca in cui l’elettorato è mobile, si preferisce andare verso l’estremo opposto, ovvero il libertario Milei.
Oltre al paternalismo di sinistra e alle amicizie continentali con i loro sodali rossi, Lula, Chavez e compagni, i coniugi Kirchner, soprattutto la moglie Cristina, saranno ricordati anche per altre faccende ben poco onorevoli. Vi sarebbe molto da dire, ma ci limitiamo ai fatti più salienti. Per esempio, Cristina Kirchner, nell’ultimo anno del suo secondo mandato da presidente, il 2015, fu incriminata dal procuratore Alberto Nisman per avere tentato di insabbiare le responsabilità dell’Iran in merito all’attentato terroristico contro un centro ebraico, avvenuto a Buenos Aires nel 1994.
Quattro giorni dopo l’incriminazione a carico della Kirchner, il procuratore Nisman morì in circostanze misteriose. Sempre nel 2015, Cristina Kirchner voleva modificare la Costituzione, che prevede un massimo di due mandati presidenziali, al fine di poter essere presidente per una terza volta, ma il quasi golpe le fu impedito. Tuttavia, la vedova Kirchner si ritrova oggi ad essere un presidente di fatto tramite il ruolo di vice e l’aver piazzato alla Casa Rosada uno dei suoi, e dimostra un forte attaccamento al potere fine a sé stesso.
Nel 2015 l’elegante signora, che conduce uno stile di vita non proprio da “descamisada”, lasciò l’Argentina in preda ad una terribile crisi economica, (debito pubblico fuori controllo e inflazione alle stelle), non tanto diversa da quella del 2001. La parentesi di Mauricio Macrì non è servita ad arginare i danni del kirchnerismo e la fame di potere di Cristina Kirchner, e si comprende come oggi molti argentini vogliano voltare pagina.
Roberto sei un grande. In poche parole mi hai fatto capire di Milei più che tante chiacchere sui giornali.
La mia anima liberista si riempie di speranza, anche se più per noi che per l’Argentina, paese di grandi contraddizioni e con un peso dello statalismo forse peggore persino del nostro.
Riusciremo in Italia a diminuire il peso dello Stato? Questa è la vera nostra scommessa, anche se vedo nella nostra compagine luci e ombre.
Con affetto
Alessandro
Caro Alessandro, troppo buono :) . L’Argentina ha senz’altro problemi endemici, aggravati ulteriormente dai peronisti di sinistra, e chiunque vinca il prossimo ottobre, anche il grintoso Milei, non potrà fare miracoli subito, ma sicuramente potrà iniziare ad impostare un cammino nuovo per il Paese. L’Italia ha anch’essa le proprie incrostazioni endemiche, e su tante questioni è difficile rivoluzionare tutto dal mattino alla sera, ma credo che Giorgia Meloni abbia intrapreso il giusto cammino, da perseguire per gli anni a venire, dalla stessa premier oppure anche da altri successori. Le luci e le ombre non mancano, certo, come non mancavano nel centrodestra a trazione berlusconiana, ma sta ai liberali e ai liberisti il dovere di non lasciarsi mettere da parte, come accadde nella prima Forza Italia a vantaggio di ex democristiani ed ex socialisti. Ciao, un abbraccio, Roberto.