La Germania fa fronte comune contro il velo islamico

È di pochi giorni fa, esattamente il 27 febbraio 2020, la sentenza della Corte costituzionale che ribadisce un principio tanto secolare quanto a rischio di questi tempi in Europa: le Istituzioni devono essere neutrali, quindi i simboli religiosi vanno evitati, soprattutto quando frutto di un “imperativo” religioso.

Il caso nasce dal ricorso di una tirocinante legale, presso il tribunale, ma come vedremo subito dopo, ha radici più profonde. In sintesi, secondo la legge dello Stato federato dell’Assia, i tirocinanti legali nei tribunali, nello svolgimento dei loro doveri non possono indossare simboli religiosi. La tirocinante in questione, una marocchina di 38 anni, ritenendo lesa la sua libertà di espressione, ha presentato ricorso prima davanti al Tribunale regionale superiore, che ha ribadito il dovere di apparire neutrali rispetto ad ogni religione, in seguito ha quindi fatto ricorso alla Corte Costituzionale federale. Anche qui il concetto è stato ribadito: lì dove c’è lo Stato, chi lo rappresenta deve apparire del tutto neutro, soprattutto se si parla di simboli che sono “imposti” del proprio credo, come il velo che a differenza di una croce al collo non è facilmente rimovibile in base alla volontà del soggetto.

La Corte ha infatti riportato: “Il principio della neutralità religiosa e ideologica dello stato può essere considerato un interesse costituzionale che può giustificare un’interferenza con la libertà di religione in questo caso. Il dovere dello stato di essere neutrale comporta necessariamente anche il dovere di funzionari pubblici di essere neutrali […]”;

“La libertà di religione può essere soggetta a un’ulteriore limitazione costituzionale inerente alla Legge fondamentale: il corretto funzionamento del sistema giudiziario in generale, che è uno degli elementi essenziali alla base dello stato di diritto […]”;

“Dal punto di vista del diritto costituzionale, la decisione del legislatore di stabilire un dovere di condotta neutrale rispetto alle questioni ideologiche e religiose per i tirocinanti legali deve pertanto essere rispettata […]”;

“A sostegno della posizione della denunciante, si deve tener presente che per lei il velo non è solo un segno di appartenenza a un determinato gruppo religioso che può essere tolto in qualsiasi momento – come, ad esempio, la croce indossata su una collana. Piuttosto, indossare il velo per lei significa soddisfare un requisito che lei considera imperativo. Poiché non esiste un requisito equivalente altrettanto diffuso nella fede cristiana, un divieto generale sulle manifestazioni di credo religioso ha un impatto più forte sul denunciante che su altri funzionari pubblici religiosi […]”.

È chiaro che questa sentenza – in uno stato come la Germania che ha comunque un rapporto differente con le proprie radici giudaico-cristiane – è una soluzione che mira a bloccare un processo in corso in quello Stato.

Infatti, come anticipato, il problema non nasce con recente il ricorso della tirocinante, questo problema è stato già evidenziato in numerose altre circostante. Ad esempio Il 3 febbraio 2020, il tribunale amministrativo superiore di Amburgo ha stabilito che una studentessa tedesco-egiziano di 16 anni era autorizzato a indossare un niqab, un indumento che copre il viso, in una scuola professionale di Hammerbrook. Nonostante i funzionari della scuola avessero intimato alla studentessa di non indossare il velo integrale, il tribunale ha dovuto constatare come nessuna legge impedisca alla giovane di farlo.

Però, prima ancora che la magistratura costituzionale, questo problema ha visto l’interessamento della classe politica tutta. Infatti dai verdi all’Afd, ogni leader si è dichiarato disposto a cambiare la legge, per impedire che a scuola i professori non possano vedere in viso gli studenti. Tra tutte riportiamo una dichiarazione della vice sindaco di Amburgo Katharina Fegebank, del Partito dei Verdi:

“Il burqa e il niqab sono, per me, simboli di oppressione. Le lezioni di scuola di successo hanno bisogno di una buona comunicazione a livello degli occhi. Per questo, è importante vedere il volto dell’altro. Questo non è possibile con un velo pieno. Questo è perché li rifiutiamo “.

Il parallelismo quindi non può che scattare automatico: e da noi? Ci sarebbe un fronte comune così compatto? Molto improbabile. Da noi, come sempre, avremmo la solita sinistra che confondendo integrazione con tolleranza, probabilmente difenderebbe la falsa integrazione del velo integrale sul viso di una adolescente di 16 anni. Con l’unico, solito, risultato che questa sinistra ferma alla guerra fredda ha saputo produrre in chiave di immigrazione: l’intolleranza verso la cultura autoctona, quella italiana ed europea.

Fonte: Gatestone Institute 

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