L’avvicinarsi del 25 aprile quest’anno ha risvegliato l’antifascismo militante, quello più acceso (e anacronistico) contro la destra. Quello che ancora oggi, a distanza di 80 anni circa dalla Seconda Guerra Mondiale, combatte contro un nemico oramai invisibile, ineffabile e, di fatto, inesistente. L’Italia e la destra hanno fatto i conti con il proprio passato, storicizzato i fatti trascorsi e rinnegato le terribili violenze provocate dall’odio razziale. E per quanto si tenti continuamente di creare dal nulla dei rivali da affossare, la democrazia oggi viene messa in pericolo non certo dalla destra, ma da una sinistra estrema che imbavaglia chiunque la pensi contrariamente. A nulla sono serviti il silenzio imposto a David Parenzo, a Maurizio Molinari, o i continui avvisi del presidente del Senato Ignazio La Russa di calmare le acque, al fine di evitare quello che sarebbe una mostruosa involuzione verso gli anni di piombo dello scorso secolo. Benpensanti e intellighenzia tutta rolex e champagne: il pensiero della gauche cavial soffia inevitabilmente sulla stessa libertà di pensiero, lamentando però, dopo maree di insulti e tentativi di spiegazioni filosofiche a loro supporto, la possibilità di ricevere querele. La questione è molto più semplice di quanto si possa pensare: dare del neonazista a un politico (che non lo è), può rientrare nel diritto di critica?
La sinistra si reinventa: il pericolo ora è “neonazista”
“Neonazista”, e non più “neofascista”. Sì perché pare che la stessa intellighenzia abbia finalmente capito che urlare a squarciagola a un pericolo che non esiste, non crea allarmismo ma ottiene gli effetti opposti: punto uno, perché la gente, quella che davvero scende per strada, si sporca le mani e ha a che fare con la vita reale, si rende conto che sono tutte messinscene; punto due, perché ripetere sempre la stessa cosa può portare al suo svilimento e, nel caso in cui si presentasse (ma non succederà) quel pericolo, saremmo troppo impegnati a rispondere ai falsi allarmi della sinistra, piuttosto che combatterlo. Ed è così, allora, che la sinistra si è accorta del suo fallimento, che questa strategia non solo le ha fatto perdere consensi (e credibilità), ma ha consegnato voti a quei fantomatici fascisti della destra. Tuttavia, piuttosto che abbandonare la strada della denigrazione del maggior avversario politico (prima Berlusconi, quando era al capo del governo; poi Salvini, quando la Lega raggiunse la leadership della coalizione del centrodestra; ora Meloni, che guida l’esecutivo e il primo partito d’Italia), la sinistra si reinventa e al pericolo fascista sostituisce quello nazista.
Canfora e Di Cesare: insultare non è dissenso intellettuale
Alcuni casi sono già noti: il professore Canfora ha dato della “neonazista nell’animo” a Giorgia Meloni; il rettore Tomaso Montanari gli ha dato ragione in Tv paragonando parole di esponenti del governo a quelle del Mein Kampf di Hitler; Christian Raimo, dopo aver detto che i neonazisti “vanno picchiati”, ha rincarato la dose dicendo che l’Europa messa a repentaglio da un “ritorno non al fascismo, ma al nazismo”. Poi anche la prof Donatella Di Cesare, ormai più famosa per il suo inneggio alla brigatista morta Barbara Balzerani che per le sue comparse in Tv, andrà a giudizio dopo la querela del ministro dell’Agricoltura, della Sovranità Alimentare e delle Foreste Francesco Lollobrigida: l’accusa è quella di aver definito il ministro un “neo-hitleriano” a Di Martedì. E non è soltanto l’ossessione nazista (fu fascista) ad accomunare tutti questi intellettuali. È anche il vittimismo a legarli. Poche, infatti, sono state le voci contrarie che hanno condannato le esagerate accuse, ma la stragrande maggioranza dei progressisti ha espresso vicinanza a Canfora, querelato da Giorgia Meloni che, secondo il loro racconto, utilizzerebbe la sua posizione di potere per fare ingerenza sull’esito del processo. E così anche Di Cesare, dopo aver accusato Lollobrigida, fa il piagnisteo: “Duole constatare che un ministro, dal suo posto di potere, denunci una privata cittadina. Soprattutto preoccupa l’abuso di querele per tacitare le voci del dissenso intellettuale”. Chi glielo spiega che insultare non è dissenso intellettuale?