La paura del Drago. La Santa Sede guarda alla Cina con circospezione. Una tavola rotonda per saperne di più

La legge è uguale per tutti. Soprattutto in Cina dove le libertà di pensiero, religione, parola e associazione sono pregiudicate a tutti i livelli e il bavaglio non risparmia nessuno, neanche i novantenni, soprattutto se principi di santa romana Chiesa. E così, nonostante la veneranda età, lo scorso 11 maggio le autorità di Hong Kong hanno arrestato il cardinale Joseph Zen Ze-Kiun, con l’accusa di aver violato la legge sulla sicurezza nazionale. “Se la sua condotta ha violato la legge, sarà giudicato in base alla legge”, ha dichiarato lo zelante capo dell’esecutivo locale John Lee Ka-Chiu, eletto appena tre giorni prima. Dal giugno 2020 il governo cinese ha imposto nuove restrizioni dopo le proteste di piazza a favore della democrazia dell’anno prima. Il porporato è stato accusato di “collusione con le forze straniere” in quanto amministratore fiduciario del “612 Humanitarian Relief Found”, fondo istituito per sostenere le spese legali e processuali dei dissidenti. Dopo l’arresto, il cardinale è stato rilasciato su cauzione, ma la vicenda non è certo rassicurante.

Né rassicura la reazione del Vaticano, piuttosto tiepida secondo molti osservatori. Se si pensa alla durezza con cui il Patriarca latino di Gerusalemme, monsignor Pizzaballa, è intervenuto contro le forze di sicurezza israeliane accusate di aver aggredito i manifestanti palestinesi che partecipavano ai funerali della giornalista di Al Jazeera, sul prelato novantenne sono state spese parole più formali e meno generose: “vorrei esprimere la mia vicinanza al cardinale che è stato liberato e trattato bene”; “l’auspicio più concreto è che iniziative come questa non possano complicare il già complesso e non semplice cammino del dialogo.” Così il segretario di Stato, il cardinal Pietro Parolin. Il responsabile degli affari esteri della Santa Sede si è preoccupato di evitare che l’arresto di Zen venga considerato in una “prospettiva di sconfessione dell’Accordo con la Cina”.

Il 22 ottobre del 2018, è stato infatti stipulato un Accordo Provvisorio tra Santa Sede e Repubblica Popolare Cinese per la nomina dei vescovi: si riconosce ai fedeli cattolici di essere guidati da vescovi in piena comunione con il Papa. L’Accordo è “ad experimentum” e ha una scadenza, il prossimo 22 ottobre. Le dichiarazioni di Parolin sono suonate troppo morbide alle orecchie di tanti. Come a dire: sacrifichiamo Zen, l’importante è mantenere la linea delle “porte aperte” e puntare a un ulteriore rinnovo, temporaneo o magari definitivo dell’Accordo. Insomma, più realista del Re Parolin e con lui, probabilmente, anche il Papa. Ma che la diplomazia vaticana abbia vissuto con imbarazzo la questione è sicuro. Così come è evidente la circospezione politica nei confronti del Drago cinese. Un segno di debolezza? Forse. La prudenza di chi tratta il “gregge di Dio” nella consapevolezza dei limiti che, in una Cina lontana e ostile, la storia riserva alla Chiesa? Forse.

A questi e ad altri interrogativi proveranno a rispondere questa sera i protagonisti di “Cina e Santa Sede, tra religione e geopolitica”, una tavola rotonda organizzata a Roma dall’Associazione ICEF, presso la sua sala conferenze in Viale delle Belle Arti, a partire dalle ore 20. Ospite d’eccellenza sarà Agostino Giovagnoli, ordinario di Storia contemporanea all’Università Cattolica del Sacro Cuore, editorialista ed esperto di Chiesa e democrazia nell’Italia repubblicana; moderatore sarà Federico Piana, giornalista di Radio Vaticana.

La Cina è oggi il principale playmaker del nuovo ordine globale. Seconda economia mondiale con ambizioni di primato, la Repubblica Popolare Cinese è ancora terra di frontiera per i cristiani di tutte le confessioni, a cominciare dai cattolici. Francesco, il pontefice “altermondista”, sogna di andare a Pechino un giorno nel segno della continuità, almeno in questo, con la tradizione dei suoi predecessori. La Chiesa ha gettato nei secoli i suoi “semi di speranza”, anche nel lontano Oriente, dove è sopravvissuta alle sanguinose persecuzioni comuniste. In attesa di vederne i frutti e come “agnello tra i lupi” continua a dialogare, a trattare, a mediare.

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1 commento

  1. IL COMUNISMO é certamente un male e quello cinese sembra una sorta di nazismo. D’altro canto, anche in democrazia sembrano manifestarsi abusi nocivi ed esagerati poteri. Anche noi abbiamo i nostri oligarchi arroccati in alcune istituzioni.Nè bastano semplici referendum per abbatterli. Ci vuole un po’ piu autorità in certi casi e piu decisionismo per eliminare cio che disturba la società.

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