Il Consiglio europeo di pochi giorni fa ha individuato importanti intese sulla gestione della immigrazione clandestina e in merito alla protezione dei confini esterni della UE, facendo propria, con buona pace di Elly Schlein e di taluni magistrati, la linea dell’Italia che prevede l’utilizzo di hub specifici per migranti situati al di fuori della Unione Europea, come i centri allestiti da Roma in Albania, con la collaborazione del governo di Tirana. Il Consiglio ha registrato altresì un accordo riguardante il discusso ReArm Europe presentato e sostenuto dalla presidente della Commissione europea Ursula von der Leyen. I 27 Paesi membri convergono sul bisogno del Vecchio Continente di investire di più nella Difesa militare e si tratta, in effetti, di una esigenza reale che tutti, più o meno intimamente, riconoscono, dalle classi dirigenti delle Nazioni UE al presidente degli Stati Uniti Donald Trump, il quale, da quando è in politica, chiede all’Europa di fare di più all’interno della cornice della NATO e di iniziare a sfumare l’abitudine di delegare ogni aspetto della sicurezza globale agli USA, salvo poi lamentarsi delle ingerenze americane.
Lo ha ricordato molto bene Giorgia Meloni a Montecitorio: non si può dire no a più investimenti europei nella Difesa e nel contempo pronunciare un altro no verso il protagonismo di Washington perché le due cose non stanno insieme. Il ReArm di Ursula, complici anche alcuni messaggi non ben formulati dalla stessa Commissione, ha alimentato un dibattito in cui sono comparsi riferimenti a ipotesi irrealizzabili, logiche emergenziali, quando invece l’Europa deve delineare i propri strumenti di difesa in un’ottica di medio-lungo periodo e non solo per l’oggi, e dinieghi ideologici. Dall’esercito comune europeo, impossibile per l’Unione attuale, magari sganciato dall’Alleanza Atlantica, al riarmo frettoloso per cercare di tenere testa sia a Trump che a Vladimir Putin, per finire con il pacifismo truffaldino e i bugiardi sentimenti “Peace and Love”.
La strada maestra dovrà essere quella del rafforzamento e della modernizzazione dei vari eserciti nazionali dei Paesi UE, per raggiungere livelli di efficienza e capacità di reazione di tutta l’Europa come secondo pilastro della NATO. Fra voli pindarici e niet surreali, confidiamo che si faccia largo un sano realismo e sicuramente si procederà verso il buonsenso, ovvero, il potenziamento delle Forze Armate nazionali. Ma siamo al momento alle linee di principio, sulle quali le Nazioni europee si sono trovate d’accordo all’ultimo Consiglio, e occorrerà a breve entrare nel dettaglio, soprattutto in quello più fastidioso epperò determinante delle coperture finanziarie alle spese per la Difesa. La necessità di maggiori e migliori investimenti è stata condivisa da tutti al Consiglio UE, ma sono emersi i primi distinguo, sempre nella medesima sede, circa le modalità di reperimento dei fondi, a dimostrazione della inevitabilità di un passaggio che non è comunque agevole per i Paesi europei. Anche dal punto di vista economico-finanziario si riuscirà, per così dire, a trovare una quadra e senza intaccare i fondi di coesione e il welfare, come ha precisato la premier Giorgia Meloni rispondendo alle chiacchiere propagandistiche delle opposizioni italiane, ma la strada che si presenta davanti è in salita, per tutta l’Unione Europea e di certo non solo per l’Italia. L’Europa che arranca e che arriva spesso in ritardo o addirittura fuori tempo massimo è il prodotto, lo dobbiamo pur dire, della miopia politica dei rigoristi continentali di poco più di dieci anni fa. Ce li ricordiamo ancora bene, i Mario Monti e i Nicolas Sarkozy che prendevano ordini dall’allora potente Cancelliera tedesca Angela Merkel, descritta dagli euro lirici di casa nostra come una statista così brava da non poter essere mai contraddetta.
L’asse franco-tedesco, dinanzi al quale si inchinava l’Italietta montiana, subentrata con manovre di Palazzo ad un governo eletto dagli italiani, pensò a salvare il salvabile sul fronte dei conti pubblici e delle banche tedesche con il pretesto del rigore finanziario da applicare a tutti i Paesi UE a causa della crisi economica globale di pochi anni prima, della instabilità sopraggiunta dell’euro e della presunta irresponsabilità dei membri del Sud, i Piigs, i maialini d’Europa insomma. Si fece come nelle peggiori privatizzazioni, ossia, privatizzando gli utili, a favore della Germania, e socializzando le perdite, a sfavore di tutta l’Europa, alla faccia del millantato europeismo. A ben vedere, la strategia di Angela Merkel non fu lungimirante neppure per la stessa Germania e i tedeschi se ne stanno accorgendo proprio in questo tempo. La Repubblica Federale tedesca si trova adesso alle prese con decisioni di investimenti pubblici, in materia di Difesa ed altro, da assumere in fretta. Il rigore merkeliano, oltre a consegnare, fra l’altro, il Vecchio Continente alla dipendenza del gas russo, un’ulteriore scelta poco avveduta, costrinse l’Europa a rimandare a tempo indeterminato le questioni più decisive come, appunto, la Difesa. Se poco più di dieci anni fa Berlino, insieme ai suoi servi sciocchi francesi e italiani di allora, fosse stata capace di guardare un po’ più in là del proprio naso, oggi l’Unione Europea si troverebbe già pronta dal punto di vista di una Difesa militare dei 27 adatta alle necessità contingenti e non rischierebbe di partorire micini ciechi come una gattina frettolosa.