Una lista di proscrizione, come nei terribili anni di piombo, con tanto di nomi, cognomi, volti, ruoli e il “marchio della bestia”, quella social della Lega. È questa la nuova sparata di Alex Orlowski, analista della trasmissione report, “odiatore” già smacherato da FDI e da Giorgia Meloni, quando ha tentato di costruire un caso sui social del movimento dei patrioti e della sua leade. Tutto fumo e niente arrosto se non fosse per il veleno e l’odio appunto, trasmesso e istigato a mezzo social, come anche questa volta è accaduto ai danno dello staff della comunicazione online del partito di Salvini.
Ecco gli admin dei social della Lega responsabili dei post e contenuti. Facebook ha autorizzato un’App che permette alla BESTIA di pubblicare su differenti gruppi simultaneamente, facilitando così, la propaganda all’odio razziale. CP 604 bis #facciamorete #adessoBasta pic.twitter.com/9BpF6ln25d
— Alex Orlowski (@alex_orlowski) August 15, 2020
Infatti, ecco il tweet con cui l’esperto del Servizio Pubblico, al termine della calda giornata ferragostana, espone la lista di proscritti che compongono lo staff social della Lega, inorridito dal fatto che questi abbiano una app approvata da Facebook che li facilita nel loro lavoro di diffusione online dei contenuti politici.
Un dito puntato contro persone che non fanno altro che il proprio lavoro, solo che lo fanno da quella che secondo Orlowski è la parte sbagliata, il campo alternativo alla sinistra naturalmente e quindi, non sostenendo i dogmi della nuova verità rosso-gialla vanno esposti al pubblico come dei colpevoli. Di cosa? Il “nostro”, si fa per dire, ha anche il suggerimento pronto per la toga rossa di turno: “Art. 604 bis codice penale – Propaganda e istigazione a delinquere per motivi di discriminazione razziale etnica e religiosa”, suggerisce. Avrà anche denunciato?
E così tornano alla mente le squallide, pericolose liste stilate dagli estremisti rossi negli anni di piombo; perchè quando si indica con tanta facilità il “nemico” solo a causa delle idee che sostiene, o peggio in questo caso, per le idee del datore di lavoro, si finisce per evocare un qualcosa dal potenziale esplosivo. Si tratta di un giochetto che può sfuggire dalle mani e dagli account social tanto buonisti quanto mitomani che ci si prestano.
Qualcosa che l’Italia non vuole vivere più.