Ritornare al proposito, al nobile sogno, che fu di Giovanni Pico della Mirandola (Mirandola 1463 – Firenze 1494), cioè a quel desiderio, insito nell’animo di ognuno di noi, di riportare alla luce la bellezza della dignità umana, appare, oggi più che mai, una necessità impellente, un obiettivo non ulteriormente prorogabile. Il noto umanista trattò tale tematica soprattutto nella celeberrima orazione De hominis dignitate, scritta affinché fungesse “come introduzione a una raccolta di 900 tesi che Pico aveva messo insieme come base di discussione per un convegno di dotti che sperava di riunire a Firenze con un obiettivo preciso: trovare una sintesi, una conciliazione tra le tante posizioni diverse in campo religioso e filosofico, ma anche politico, fonte di divisioni, di guerre e di ogni sorta di mali per l’umanità” (M. Pancaldi. M. Trombino, M. Villani, Atlante della filosofia. Gli autori e le scuole. Le parole. Le opere, Milano, Hoepli, 2006, pp. 338-339).
Un’impresa che, purtroppo, sarebbe naufragata presto, per via dell’ostilità dei dotti del tempo e per la ferma condanna espressa dall’autorità ecclesiastica, chiamata a esprimersi circa l’ortodossia delle posizioni ivi avanzate in tale iniziativa. Il Nostro, tuttavia, non rinunciò al progetto, decidendo, comunque, di pubblicare l’orazione in questione, affinché favorisse una benefica circolazione di idee e pensieri, nonché la creazione di un dibattito aperto tra intelligenze e differenti sensibilità, intorno al motivo ricorrente, e centralissimo, della libertà: “Pubblicò quindi l’orazione De hominis dignitate, che avrebbe dovuto inaugurare il congresso e che può essere considerata il “manifesto” dello spirito umanistico-rinascimentale: in essa, infatti, si individua nella libertà la caratteristica fondamentale dell’uomo, garantita dal non essere egli di una natura determinata, ma capace di darsi la natura che vuole, dal non aver limite né chiusura, dal suo essere aperto a tutto, capace di diventare tutto, fino ad ascendere con il suo intelletto al termine ultimo, alla congiunzione con Dio” (Pico della Mirandola, Giovanni, conte di Concordia, in “Enciclopedia Treccani”, online).
Il Nostro, quindi, legava indissolubilmente il tema della libertà a quello dignità, sostenendo convintamente come l’uomo fosse ontologicamente superiore alle altre creature esistenti, in quanto destinatario di un dono notevole: l’uomo è “l’unico essere a cui Dio creatore ha voluto riservare il privilegio di decidere da sé della propria natura” (M. Pattavina, R. Ramoscelli, Orizzonti del pensare. Storia della Filosofia: autori, testi, problemi, Torino, Ed. Il Capitello, V.2 T.I, 2008, p. 34).
La grandezza umana si accompagnerebbe alla sua fragilità e miseria; il dono divino sarebbe, pertanto, all’origine della natura camaleontica di quel miscuglio originalissimo che chiamiamo umanità, attraversato da istanze perennemente confliggenti, incapaci di prevalere definitivamente, sempre alla ricerca di un equilibrio ultimo e rassicurante: “L’uomo è come il camaleonte, che può assumere infinite sembianze diverse, da quelle più nobili a quelle più abiette. In virtù di questa particolarità, nella scala degli esseri egli costituisce una sorta di sintesi e di raccordo tra i gradi più bassi e quelli più alti” (L. Neri, P. Mazzucca, F. Paris, Storia della Filosofia, Città di Castello (PG), Ed. Alice, V.2, 2009, p. 21).
Pico della Mirandola si fece, quindi, assertore di una sovranità personale, di un’autentica sfida e responsabilità, consegnata nelle mani di ogni uomo, cioè quella di dare forma e sostanza alla propria esistenza, forgiando la natura della propria persona, tracciando gli orizzonti del vivere in comunità. La libertà è condizione di edificazione dell’umano, tanto individuale quanto sociale, onde progettare un mondo nuovo, nel quale possa, infine, concretizzarsi un sodalizio universale tra i valori della pace, della padronanza di sé e della dignità, nelle sue forme più alte della conoscenza e della giustizia, mediate dal mistero insondabile della volontà: “L’uomo può elevarsi verso le creature perfette o degenerare verso le creature inferiori. Il suo destino è nelle sue mani. Ogni ascesa verso Dio è suo merito, ogni caduta è suo demerito. Egli liberamente lotta per conquistare la pienezza della vita. Il più alto obiettivo che l’uomo, considerato nella sua universalità, possa porre a se stesso nella conduzione degli affari comuni a tutta l’umanità è la pace perpetua. È necessario superare le discordie tra gli uomini, per permettere a ciascuno di vivere nel pieno rispetto della sua dignità. La dignità dell’uomo, infatti, viene calpestata quando non vi è pace. Solo nella pace ogni anima potrà veramente dirsi “dimora di Dio”” (M. Pancaldi, M. Trombino, M. Villani, Philosophica. Dall’Umanesimo alle filosofie del Seicento,Varese, Marietti Scuola, 2A, 2007, pp. 38-39).
Il Nostro esprime in modo mirabile tale convincimento, lodando la liberalità del Padre, nell’orazione più volte citata, per la gloriosa “sorte dell’uomo, cui è concesso di ottenere ciò che brama, di essere ciò che vuole” (G. Pico della Mirandola, De hominis dignitate).
Ottime considerazioni su una figura dell’umanesimo rinascimentale che pone al centro l’uomo e la sua liberta…quello che probabilmente manca all’umanita del nostro tempo…interessante il tentativo di mettere insieme gli uomini migliori per progettare un Paese migliore…anche se i progetti a tavolino…bisogna diffidare…
Grazie per l’apprezzamento espresso e per l’intelligente riflessione.