Poche sono le certezze che il 2024 ci offrirà. Tra queste, il dibattito sulla riforma costituzionale. Un obiettivo caro al Governo ed una battaglia storica della Destra. Le opposizioni sono già insorte
gridando al colpo di Stato. E’ il tipico destino che spetta a chi tenta di modificare la Costituzione,
poiché troppa è la paura che assale chi rischia di rimanere tagliato fuori dagli annali di storia. La
Costituzione, per giunta, è sempre stata agitata come una personale bandiera dalla sinistra,
rimproverando, come una petulante maestra elementare, alla destra di non aver mai digerito i
suoi dettami. Al netto di tutto, la Nazione ha bisogno di rafforzare i suoi istituti rappresentativi,
consolidare la stabilità dei governi, controvertere la scarsa partecipazione alle urne e restituire alla
politica una veste migliore. Il premierato è un tentativo coraggioso che seguiremo con attesa, privi
di pregiudizi ideologici e nella trepidante attesa che qualcosa cambi.
Per alimentare il dibattito e mettere ordine al caos, abbiamo chiesto la sua opinione ad Andrea Venanzoni, costituzionalista e saggista, pensatore originale e non conforme.
Elly Schlein, a proposito di premierato, ha affermato che un uomo solo al comando c’è già stato e che, da questo punto di vista, l’Italia avrebbe già dato…
Anche Prodi voleva il premierato. Durante il suo governo si sono viste le prime avvisaglie di riforma costituzionale in senso di premierato. E questo è un aspetto straordinario, perché quando il premierato lo tratta un governo di sinistra va tutto bene, quando poi la palla normativa passa nelle mani del centrodestra, i più esagitati identificano il premierato come una sorta di trasmutazione alchemica del regime fascista, se non peggio. La Riforma serve per mettere ordine in un caos istituzionale. È inaccettabile chi ne fa un gioco di parte, come è inaccettabile il moralismo costituzionale che arriva da sinistra e che accusa la destra delle peggiori nefandezze.
Il Segretario Dem, inoltre, sostiene che una riforma di questo tipo minaccerebbe la stabilità del Parlamento e la figura del Presidente della Repubblica. Cosa ne pensi?
Questa ipotesi di riforma, che il governo Meloni sta cercando di portare avanti, è in divenire grazie
al lavoro del Ministro Casellati, la quale sta ascoltando tutti gli attori in campo, dai sindacati agli
altri partiti e i costituzionalisti, e risponde ad un indebolimento delle istituzioni della democrazia
rappresentativa ormai decennale. Questa riforma tendenzialmente tenta di fornire una copertura
politica alla debolezza anzitutto dei partiti. Se andassimo a rileggere tutti gli interventi, ormai
copiosi, dei costituzionalisti ad esempio in materia di federalismo, il tratto comune degli interventi,
al netto delle posizioni diversificate, è che esiste un problema enorme della forma partito, la
quale, sempre con maggiore fatica, garantisce rappresentatività. Quindi il Parlamento è da decenni esautorato, non da un colpo di mano, si badi, si è auto esautorato spostando per varie ragioni il potere di produzione normativa in capo al governo, il quale si è reso protagonista di una
produzione di decreti-legge e di una produzione di deleghe legislative sempre più evanescenti.
Questa condizione, quindi, risale ad anni ed anni fa, non è certamente un’invenzione autoritaria
voluta dal governo di centrodestra. Ritengo questa operazione guidata da Giorgia Meloni non solo
perfettamente legittima, ma necessaria perché va a legittimare, a dare copertura istituzionale e
fiducia ad una situazione che invece è diventata oggettivamente disfunzionale.
Per quanto riguarda il Presidente della Repubblica, al netto di quello che sarà il testo definito, il
Presidente della Repubblica è una figura a geometria variabile dai poteri a geometria variabile,
poiché si basa molto su prassi e consuetudini. Quindi l’indebolimento che viene paventato è più una immagine oleografica piuttosto che effettiva, perché la famosa figura della neutralità del
Presidente della Repubblica è un’immagine abbastanza virtuale, piuttosto che fattuale. Ma non c’è
dubbio che se rivedessimo l’operato, quindi le concrete prassi dei Presidenti della Repubblica,
troveremmo dei settennati che sono totalmente diversi tra di loro. Nella bellissima monografia di
Gino Scaccia dedicato alla figura del Presidente la Repubblica, il Capo dello Stato è chiamato “il Re
della Repubblica”, perché in certi casi può diventare un sovrano dai poteri esorbitanti, certamente
di equilibrio, ma che possono diventare bloccanti e una vera forza frenante. A me non sembra
affatto che un progetto di riforma costituzionale, come quello in corso, possa compromettere e
rendere disequilibrati i poteri del Capo dello Stato.
All’importanza della riforma costituzionale, aggiungerei la necessità di mettere mano alla legge
elettorale, in virtù di quanto detto prima, perché tutto si origina da un significativo indebolimento
delle forze partitiche, soprattutto dopo quella oscena riforma costituzionale voluta dai 5 Stelle sul
taglio dei parlamentari. Quella sorta di spending review costituzionale del numero dei
parlamentari ha portato, inoltre, ad una necessità di adeguamento regolamenti parlamentari.
Modificare la Costituzione rappresenta, in che misura, la soluzione per i problemi strutturali della Nazione?
Questa è una domanda da cento milioni di euro. In realtà credo che il vero problema sia
soprattutto antropologico, non soltanto giuridico. La disgregazione della forma partito, ma in
generale dei corpi intermedi, è un moto di faglia che devasta il Paese da molto tempo.
L’antipolitica è la risultante di un processo di destrutturazione dell’insieme sociale e credo che
l’emersione di un movimento come quello dei 5 Stelle abbia portato ad un livello di degrado il
sistema istituzionale politico che non ha precedenti. I grillini hanno estremizzato qualcosa che io
avvertivo come già turpe, la questione morale, la famosa questione morale posta all’epoca da
Berlinguer che, a mio avviso, era già turpe. L’immissione del moralismo in politica è molto
pericoloso. Ma il degrado a cui hanno portato i 5 Stelle è veramente difficoltoso da risanare
perché è un degrado antropologico, scaturito da un livello di demagogia importante. Pensiamo
all’orribile pratica di mettere certi nomi alle leggi, penso alla “spazza corrotti”. Come avrebbe
potuto un parlamentare votare contro una legge con questo nome? Sarebbe stato linciato dal
sistema massmediatico per manifesta connivenza coi corrotti. Quindi, per rivitalizzare la fiducia nel
sistema politico è necessario uno scatto antropologico. Benissimo tutta la cornice istituzionale,
benissimo la cornice giuridica, ma è necessario un ritorno alla politica con la “p” maiuscola. Basta
con la demagogia di piccolo cabotaggio, basta con questi piccoli espedienti, basta con
quell’assistenzialismo grigio, fatto di bonus 110. Tutto ciò appartiene ad una visione demagogico
feudale che deve essere completamente scardinata.
Abbiamo detto che altri governi hanno tentato di riformare la Costituzione. A destra, però, questa è una battaglia che quasi trascende fini squisitamente politici. Perché secondo te?
Credo sia forte la volontà di rovesciare il racconto che ripropone una visione partigiana e
proprietaria da parte della sinistra delle istituzioni, che siano quelle culturali o quelle dei palazzi
della rappresentanza o degli organi costituzionali. Prendiamo ad esempio le dichiarazioni di
Giuliano Amato, presidente emerito della Corte costituzionale, il quale ha paventato un attacco
frontale delle destre nei confronti delle Corti, una deriva, secondo lui, che porterebbe l’Italia ad
assomigliare all’Ungheria ed alla Polonia. In realtà questa immotivata preoccupazione di Amato
nasce dal fatto che sono in scadenza alcuni membri della Corte costituzionale ed è dovere del
Parlamento eleggere i nuovi. E poiché la maggioranza parlamentare appartiene al centrodestra, alcuni nuovi giudici potrebbero avere una sensibilità legata al centrodestra. Ma non vedo in alcun
modo come ciò possa inquinare la sacralità di quel palazzo. Dentro la Corte ci sono sempre stati,
storicamente, giudici di varie sensibilità, di vari orientamenti ideologici o giuridici, però la sinistra li
ha sempre considerati cosa sua, obbligando i suoi esponenti a gridare al complotto o alla svolta
autoritaria ogniqualvolta sia stata messa in discussione la loro meccanica deterministica. Mi
chiedo perché, chi tenta di fare ciò che la sinistra ha sempre fatto, magari non a suo esclusivo
beneficio, ma a beneficio di persone portatrici di un orientamento politico e ideologico centrista,
liberale o conservatore, nel mai vano tentativo di divellere dei dispositivi culturali incrostati e tutti
unilaterali, debba ricevere dei commenti come quelli di Amato. Certi autorevoli personaggi si
rassegnino. La nostra libertà non è in pericolo.
Hai più volte affrontato nelle tue pubblicazioni il rapporto tra l’autorità dello Stato e la libertà. Ma cos’è la libertà e come si difende?
La libertà è semplicemente l’aria che respiriamo e come dovremmo respirarla è uno dei problemi
principali. Quando non si ha la percezione del perderla, quest’aria, vuol dire che c’è stata una falla
nel nostro potere di vigilanza.
Sullo stadio e sul grado di libertà di cui possiamo godere, in questi giorni è stata ripresentata la
nuova edizione del libro dell’ex ministro Roberto Speranza dedicato al governo della pandemia:
credo che quegli anni siano stati tremendi per quanto riguarda l’esercizio consapevole della
libertà. Sono stati tremendi perché al netto della prima fase nella quale c’era un pericolo
sconosciuto da gestire, alla fine siamo andati avanti in un groviglio burocratico in cui molte
persone, da cittadini, sono regrediti a sudditi. C’era una autorizzazione per qualunque cosa e un
groviglio inestricabile di burocrazia di ogni ordine e grado. Ai cittadini è mancata la certezza del
diritto e di quale fosse la fonte da ossequiare nei loro comportamenti. Da questo punto di vista la
cosa più importante per la libertà è che ci sia sempre consapevolezza del non cederla
integralmente alla mano dello Stato.
Un’altra forma di cessione di libertà è rappresentata da alcune misure assistenziali che lo Stato ed i governi, di tanto in tanto, adottano. Penso ad esempio al reddito di cittadinanza. Queste misure
ingannano i cittadini, offrendo loro uno strumento di riscatto verso la libertà, ma in verità non
fanno altro che imprigionare chi ne beneficia in una dipendenza stagnante. In tal senso, la
metafora con cui il Presidente Meloni equipara il reddito di cittadinanza al metadone, è molto
calzante.