Di recente, in piena emergenza da Coronavirus, il Governo italiano, tramite un decreto del Sottosegretario con delega all’Editoria, l’esponente del PD Andrea Martella, ha annunciato di aver costituito a Palazzo Chigi una “Unità di contrasto della diffusione di fake news relative al Covid-19 sul web e sui social network”.
Ne fanno parte Riccardo Luna (editorialista di Repubblica); Francesco Piccinini (direttore di Fanpage); David Puente (oggi in forza a Open, la testata online fondata da Enrico Mentana, ma con un passato al soldo di Di Pietro e Casaleggio); Ruben Razzante (giurista, recente fondatore di dirittodellinformazione.it); Luisa Verdoliva (docente di ingegneria all’Università Federico II di Napoli e vincitrice del Google Faculty Research Award nel 2018), Roberta Villa (free lance di giornalismo medico) e Fabiana Zollo (ricercatrice dell’Università di Venezia).
La costituzione di questa “task force” ha suscitato molti dubbi e polemiche, data la natura evidentemente arbitraria sia della scelta di creare l’organismo in seno all’esecutivo, sia per l’idea stessa che si possa pensare di mettere sotto controllo governativo l’informazione.
Ne abbiamo parlato con Alessandro Sansoni, direttore responsabile di CulturaIdentità e consigliere nazionale dell’Ordine dei Giornalisti.
Il Governo ha annunciato la costituzione di una Task Force anti fake news, se ne sentiva davvero il bisogno?
La questione della task force anti fake news, per diversi aspettti, può apparire controversa. Innanzitutto perchè è stata creata dal sottosegretario all’editoria Martella. Se è vero che c’è una certa attenzione da parte di tutti i paesi che sono coinvolti nella resistenza alla pandemia da Covid-19 riguardo alle informazioni che circolano, bisogna dire che le vere bufale sono veicolate soprattutto attraverso strumenti come whatsapp e altri servizi di messaggistica simili sui quali girano catene, falsi decreti e altre sciocchezze per le quali bisognerebbe certamente trovare una forma di contenimento.
Eppure il raggio di azione di questo comitato non sembra chiaro. Si limiteranno a monitorare pericolose bufale sul coronavirus o andranno oltre?
Si tratta di un nodo cruciale. Martella è il sottosegretario all’editoria e visto il curriculum giornalistico della maggior parte dei membri del comitato anti fake news, viene da pensare che ci sia l’orientamento a controllare qualsiasi tipo di pubblicazione e organo di stampa che si tratti di testate online, giornali cartacei o programmi tv. Certamente c’è anche una grande attenzione verso i social network, ma questo non toglie che sia necessario fare delle riflessioni in merito.
Facciamole!
Il vero pericolo è rappresentato dal fatto che questo organismo è in capo all’Esecutivo e fa quindi parte del Governo in carica. Al momento pare che non abbia poteri sanzionatori, anche se bisognerà poi verificare in corso d’opera quali siano realmente i poteri dei membri di questa task force, ma il fatto stesso che sia una struttura governativa implica il rischio che si stia andando a costituire un Ministero della Verità di orwelliana memoria. Sarebbe stato più opportuno incardinare questo organismo nella logica del Parlamento, cosa che avrebbe consentito ad ogni gruppo parlamentare di individuare un esperto o anche più esperti, volendo dare una proporzionalità in base alla rappresentatività elettorale dei partiti, così da adottare un meccanismo più in linea con i valori del pluralismo. D’altronde qualcuno ha sollevato anche perplessità sull’estrazione politico-culturale di alcuni membri di questa task force. Certamente una parlamentarizzazione della stessa avrebbe evitato anche questo tipo di critiche.
Aspetti potenzialmente inquietanti per il mondo dell’informazione. Una situazione insanabile?
Penso che sia possibile ancora intervenire in questo senso: basta che opposizione e Governo si confrontino su questo tema. Sarebbe peraltro opportuno che all’interno di questa struttura fossero rappresentati anche due enti che sono già in generale preposti alla valutazione di equilibrio, pluralismo e qualità dell’informazione come l’AGCOM e l’Ordine dei Giornalisti.
Non solo una questione di forma, ma anche di salvaguardia di pluralismo e libertà di espressione quindi?
Esatto. Nel momento stesso in cui si protrae una fase di emergenza come quella che stiamo vivendo con diverse libertà civili e costituzionali che vengono limitate, mentre il Paese va avanti a colpi di DCPM della Presidenza del Consiglio dei Ministri, a maggior ragione si rende inderogabile la difesa del pluralismo soprattutto all’interno dell’informazione. Questo perchè a prescindere dalle bufale acclarate, su molti temi, anche scientifici e che riguardano da vicino la drammatica situazione che stiamo vivendo alle prese con il coronavirus, la discussione è ancora aperta e non esistono verità assolute. Siamo ancora in una fase di studio su molti aspetti di questo virus e quindi anche la scelta di definire una notizia, una ricerca o una critica come bufala, diventa una presa di posizione con risvolti politico-ideologici. Per mantenere l’equilibrio un organismo del genere, nel rispetto di tutti i colleghi già chiamati a farne parte, va costruito ponendolo in capo all’organismo di massima rappresentanza di tutti gli italiani. Si tratta della soluzione meno foriera di perplessità per tutta l’opinione pubblica.