Il 18 settembre il vicepresidente del Consiglio presidenziale libico Ahmed Maiteeq ha rilasciato una dichiarazione in cui ha annunciato la ripresa della produzione di petrolio nel Paese.
البيان بشأن استئناف انتاج النفط والنقاط التي تم الاتفاق عليها pic.twitter.com/qrTPUa4CMJ
— أحمد معيتيق (@MaiteegAhmed) September 18, 2020
Quasi nello stesso momento anche il comandante dell’Esercito nazionale libico (LNA) Khalifa Haftar ha fatto lo stesso annuncio.
Secondo il comunicato diffuso dall’Esercito nazionale libico, l’LNA ha avviato un dialogo inter-libico insieme ad Ahmed Maiteeq ed è pronto a mantenere in funzione i giacimenti petroliferi per tutta la durata dei negoziati.
Il blocco della produzione petrolifera in Libia e l’esportazione di greggio duravano dall’inizio del 2020.
La Libia è il paese più ricco di petrolio dell’intero continente africano. Le riserve petrolifere ne costituiscono la principale risorsa economica, ma solo la National Oil Company (NOC), la compagnia di Stato, è autorizzata a venderle, con l’obbligo di redistribuire i ricavi a tutte le regioni che compongono il paese.
Secondo i rappresentanti delle tribù, però, nel periodo gennaio-febbraio, i fondi sono stati distribuiti in modo non uniforme e la maggior parte del denaro è finito nelle casse delle bande criminali e dei gruppi islamisti che controllano Tripoli, dove hanno sede sia la NOC, sia la Banca Centrale libica, che hanno il compito di ripartire le risorse.
Proprio le tribù dei territori controllati dall’esercito di Haftar, per questo motivo, avevano preteso il blocco della produzione.
Il contesto negoziale
La guerra civile in Libia è in corso ormai dal 2011, allorchè la NATO con il suo intervento rovesciò il regime di Muammar Gheddafi. Tripoli, attualmente, è la sede del Governo di Accordo Nazionale (GNA) – un organismo creato in seguito agli accordi di Skhirat (Marocco) nel 2015. A guidare il GNA è il Consiglio presidenziale della Libia ed è riconosciuto dalle Nazioni Unite quale governo legittimo: una legittimità da tempo messa in discussione da varie fazioni libiche e da diversi paesi stranieri.
Non essendo un governo eletto dal popolo, esso fonda la sua base legale su quanto contenuto nell’accordo del 2015, che però è scaduto da tempo. Ciononostante, non solo l’ONU continua a riconoscerne l’autorità, ma diversi Stati, innanzitutto Turchia e Qatar, lo hanno supportato attivamente nel conflitto con Haftar, fornendo armi e mercenari fondamentalisti islamici. L’Italia stessa continua a coltivare buoni rapporti con il GNA.
In generale, il GNA, guidato da Fayez al-Sarraj, ha goduto dell’appoggio di varie milizie islamiste e di alcuni gruppi locali che hanno beneficiato della frammentazione politica del paese. Soprattutto è stato supportato dalla Fratellanza Musulmana, che ha esercitato ed esercita su di esso una forte influenza.
Nonostante il riconoscimento internazionale, il Governo di Accordo Nazionale è sempre riuscito ad controllare realmente solo la Libia Occidentale, la Tripolitania. Nell’est e nel sud (Cirenaica e Fezzan), invece, sono tuttora il Parlamento di Tobruk e l’LNA ad esercitare effettivamente il potere, il primo guidato dal presidente eletto dalla Camera dei Rappresentanti (HoR) Aguila Saleh, il secondo dal feldmaresciallo Haftar, rispettivamente capo politico il primo, capo militare il secondo, entrambi assai popolari nelle aree soggette al loro controllo e alleati di Egitto, Emirati Arabi Uniti, Arabia Saudita (e Francia).
Un possibile percorso di pace
Nelle ultime settimane si sono susseguiti in modo sempre più insistente segnali di disponibilità al dialogo da parte delle varie fazioni in conflitto. Il cessate il fuoco è stato dichiarato da Sarraj e Saleh alla fine di agosto.
La scorsa settimana Fayez al-Sarraj ha annunciato la sua intenzione di farsi da parte, dopo le dimissioni del capo del governo avversario, Abdullah al-Thani. I cambiamenti politici in atto avvengono in un contesto sociale caratterizzato da vigorose proteste sia nella parte occidentale che in quella orientale della Libia.
Bloomberg ha stimato in 9 miliardi di dollari il danno alle finanze libiche provocato dal prolungato blocco della produzione di greggio. L’accordo tra Ahmed Maiteeq e Haftar offre dunque una possibilità all’intero paese di attenuare le tensioni sociali. In base all’accordo, i porti e i giacimenti petroliferi potranno riprendere a funzionare immediatamente. Uno speciale comitato di garanzia sarà chiamato a supervisionare la qualità del lavoro svolto e l’equa distribuzione dei profitti derivanti dalle vendite. Verrà inoltre istituito un bilancio comune.
E’ un primo passo per provare a risolvere pacificamente il conflitto e trovare una soluzione alle questioni controverse. In generale, la normalizzazione della produzione di petrolio e la distribuzione responsabile delle risorse potrebbero creare la base economica su cui fondare il processo di pace e la riunificazione del paese.
Vantaggi per l’Europa
Questa nuova fase di conciliazione tra le parti dovrebbe garantire ai politici protagonisti del negoziato il sostegno dei paesi le cui aziende petrolifere sono state maggiormente colpite dalla sospensione delle esportazioni, ovvero Francia e Italia.
Chi ne beneficerà di più dal punto di vista economico, sarà proprio l’ENI, che resta ancora oggi la più grande compagnia petrolifera operante in Libia.
In ogni caso, l’intesa tra Ahmed Maiteeq e Khalifa Haftar è nell’interesse di tutti gli Stati europei, nella misura in cui la stabilizzazione della Libia è necessaria all’intera Unione anche per altre ragioni, a cominciare dalla conseguente, prevedibile diminuzione del flusso dei migranti diretti verso il Vecchio Continente. L’Italia potrebbe proporsi come principale garante dell’accordo Maiteeq-Haftar.
Non tutti i gruppi che fanno parte della coalizione che esprime il GNA sembrano, tuttavia, essere soddisfatti della nuova situazione.
In particolare i leader politici e militari vicini ai Fratelli Musulmani stanno cercando di frapporre ostacoli all’intesa: il riferimento è al capo del Consiglio Supremo di Stato, Khaled al-Mishri, comandante della Zona Militare Occidentale; al maggiore generale Osama al-Juwaili e a Mohamed Sowan, guida della sezione libica della Fratellanza Musulmana.
L’ostilità della componente islamica è comprensibile. Ahmed Maiteeq è un leader laico, un uomo d’affari pragmatico, che non ha mai voluto collaborare con terroristi ed estremisti, a differenza di altri esponenti del GNA, e che ha dimostrato più volte qualità di abile diplomatico, ben visto tanto a Washington quanto a Berlino, Ankara e Mosca.
L’accordo con Haftar ha notevolmente rafforzato la sua posizione, al punto che Ahmed Maiteeq sarà in condizione di rivendicare la carica di presidente del Consiglio presidenziale libico, una volta che Fayez al-Sarraj si sarà effettivamente dimesso ad ottobre.
E’ chiaro che in un simile scenario la posizione degli islamisti risulterebbe fortemente ridimensionata, ma potrebbe finalmente essere possibile un concreto processo di pace. Un GNA guidato da Maiteeq potrebbe trovare una comune base di discussione con i rappresentanti della Libia orientale e meridionale e, trattandosi di una figura estranea alla Fratellanza Musulmana, nonché di un politico esperto e apprezzato per la sua moderazione (nel 2014 ricoprì la carica di primo ministro), Maiteeq potrebbe essere accettato anche dall’LNA. E dalle varie potenze straniere immischiate nel ginepraio libico.