Da poco tempo vi abbiamo raccontato la giornata del ricordo per i giornalisti uccisi indetta dall’UNESCO, e dopo Jamal Khashoggi torniamo oggi a parlarvi di un’ennesima vittima della libertà. La posizione di Raed Fares non era certo tra le più facili, visto che lui, siriano colto e laico, era un giornalista antigovernativo che però si era anche sempre mostrato un critico acuto e duro nei confronti dei militanti islamici. Oggi la voce libera di Fares non c’è più: il giornalista è stato ucciso venerdì scorso da un killer che lo ha freddato a colpi di pistola in una provincia controllata dai ribelli a nord-ovest della Siria
Attualmente impegnato con Radio Fresh, un’emittente radio finanziata dagli Stati Uniti, Raed Fares forniva informazioni sul conflitto siriano nelle province settentrionali del Paese, ed era anche una fonte di notizie internazionali che difficilmente arrivavano in quelle zone ormai immerse nella crescente illegalità e nell’oppressione degli islamici più integralisti. L’uccisione di Fares è stato un duro colpo per le poche voci in un paese già dilaniato dalla guerra.
In un suo editoriale comparso nel giugno scorso sul Washington Post, Fares si era lamentato del fatto che gli Stati Uniti avessero tagliato i fondi nelle aree di opposizione siriane, inclusa la stazione radio che aveva fondato nel 2013 nella sua città natale di Kafranbel, provincia di Iblid, denunciando come tutto ciò servisse in realtà solo a nutrire l’estremismo. “Come giornalista e attivista, sento di avere il dovere di contrastare le “favole” fondamentaliste che si stanno diffondendo tra persone che non hanno altra fonte di speranza nella nostra patria devastata dalla guerra”, aveva scritto Fares sul Post del 28 giugno scorso, rivolgendosi a migliaia di giovani attivisti e giornalisti, isolati nel suo Paese. E ancora: “Se non fosse per noi e per altre voci indipendenti, i terroristi sarebbero l’unica fonte di informazione in Siria a livello locale e internazionale. Per questo motivo i gruppi terroristici ci considerano una minaccia diretta”.
E quanto lo fosse, lo dimostra oggi drammaticamente la sua morte. Fares, tra l’altro, era già sopravvissuto a un precedente tentativo di omicidio nel 2014, quando era stato colpito al petto da uomini armati. In seguito, era stato anche rapito da militanti affiliati ad un gruppo vicino ad Al-Quaida, e torturato. La sua stazione radio era poi stata devastata prima dalle perquisizioni violente degli islamici fondamentalisti, e persino bombardata dagli aerei governativi, convinti che fosse frequentata da pericolosi terroristi. Ciononostante, Fares non era mai venuto meno alla sua professionalità e aveva continuato la sua missione fino a venerdì scorso, quando la sua auto è stata affiancata da un altro veicolo in movimento in un vicolo di Kafranbel. I colpi sparati dalla vettura degli attentatori, oltre che uccidere Fares, hanno ucciso anche il suo amico e collaboratore Hammound al-Juneid, mentre un terzo passeggero sull’auto del giornalista, Ali Dandouch, è riuscito a schivare la pioggia di proiettili, come ha riportato l’Associated Press.
L’osservatorio mondiale ha riferito che più di 390 persone sono state uccise da aprile nel nord tenuto dai ribelli, in un’ondata di omicidi ed illegalità che non si riesce a contenere. Fares sarebbe solo una delle ultime vittime di questa violenza assurda. Per ricordarlo, una sua amica, la giornalista Zaina Erhaim, che vive nel Regno Unito dopo aver lasciato la Siria nel 2016, ha scritto oggi su Twitter: “Il mio ultimo amico, speranza di vedere la Siria migliorare, è morto dopo essere stato deluso da tutti”.
Un destino, quello di Fares, simile a tanti altri “combattenti” per la libertà.