L’opposizione non ha ancora capito il Governo Meloni

Qualche giorno fa Elly Schlein e Matteo Renzi hanno polemizzato fra loro. La segretaria del Pd e il leader di Italia Viva hanno per caso avuto un diverbio su come organizzare e magari unire la opposizione di centrosinistra? Macché, i due si sono divisi sul giudizio da dare al Governo Meloni.

Per la prima, l’esecutivo presieduto da Giorgia Meloni sarebbe nientemeno che autoritario, mentre per il secondo, l’Italia avrebbe a che fare con un governo velleitario. Hanno torto entrambi e i loro pareri possono essere contraddetti con molta facilità.

Oltre a non avere ragione, sia Schlein che Renzi dimostrano di non aver ancora capito nulla di questo Governo di centrodestra, e non è mai un bene quando in politica si fa fatica a riconoscere la natura e le virtù dell’avversario perché, al contrario, è utile conoscere bene l’altra parte proprio per riuscire a schierarle contro una alternativa efficace.

Ma, del resto, anche i predecessori di Elly Schlein non hanno mai compreso granché dei loro fronti avversi del momento e si sono ritrovati spesso in braghe di tela, elettoralmente parlando. Non capirono mai i successi politici di Silvio Berlusconi, oggi tornati nella memoria di tutti a causa, purtroppo, della scomparsa del Cavaliere.

Non hanno nemmeno capito, in tempi recenti, il malcontento della classe media serpeggiante in tutta Europa, che ha fatto crescere i partiti euroscettici e sovranisti. E non sono stati in grado di prevedere la Brexit e la vittoria di Donald Trump negli Stati Uniti. Schlein, protagonista pure di un battibecco a distanza con la premier Meloni, dice che questa maggioranza sarebbe autoritaria e pretenderebbe di indicare alla opposizione ciò che essa deve enunciare ogni giorno.

Per carità, tutto il Governo, da Giorgia Meloni all’ultimo parlamentare di maggioranza, si guarda bene dal dare indicazioni al Partito Democratico e agli altri soggetti politici di minoranza.

Anzitutto, Fratelli d’Italia, Lega, Forza Italia e Noi Moderati, per una questione di cultura e sensibilità democratica, non si permettono di imporre alcunché ai loro legittimi oppositori né di addomesticarli in qualche modo. Si tratta di una sottolineatura banale e scontata, ma è bene ribadire ogni tanto tale verità di fronte ad un Pd, e pure ad un Movimento 5 Stelle, che periodicamente, soprattutto quando scarseggiano le idee e i contenuti, amano rispolverare il fascismo, il Minculpop e le veline, (ovviamente, non quelle di Striscia la Notizia). Oltre al DNA democratico di FdI e alleati, che già rende automaticamente nulle le accuse di autoritarismo di Elly Schlein, la premier Giorgia Meloni e tutti gli altri protagonisti del Governo sarebbero dei pazzi autolesionisti se cominciassero ad impartire lezioni a Pd e M5S.

Infatti, Palazzo Chigi ha tutto l’interesse che Schlein, Giuseppe Conte e compagni facciano da soli perché sono encomiabili nello scavare la loro fossa, a livello politico s’intende. Guai a fermarli o a tentare di correggerli perché sono bravissimi nel fare il possibile per perdere ad ogni elezione e per continuare a farlo anche in futuro.

Elly Schlein incentra l’attività del proprio partito su istanze Lgbt e ambientalismo “gretino”, ma molti elettori di centrosinistra preferiscono che si parli prima di lavoro e tasse in busta paga, e non sanno che farsene di una specie di Sinistra Ecologia Libertà, (SEL, il partito che fu di Nichi Vendola), un po’ più grande. Si tratta di persone che probabilmente non voteranno mai per Fratelli d’Italia, ma allo stesso tempo vogliono stare alla larga da questo Pd.

Non a caso, l’astensionismo che ha caratterizzato le elezioni amministrative più recenti, e che non è mai una bella cosa per la democrazia in generale, è stato alimentato in gran parte dalla base del centrosinistra. A livello di vertice, alcuni moderati del Pd hanno abbandonato il Nazareno mentre i vecchi fuoriusciti di sinistra-sinistra come Pierluigi Bersani e Roberto Speranza sono rientrati.

Se Elly Schlein è contenta così, noi, a destra, lo siamo ancora di più. Per il leader di Italia Viva nonché direttore de Il Riformista il Governo Meloni, più che autoritario sarebbe velleitario. Il velleitario è colui che insegue utopie e sa peraltro bene, in cuor suo, di non essere in grado di realizzare ciò che promette e propaganda.

Se l’esecutivo a guida Meloni fosse velleitario non avrebbe già prodotto, in meno di un anno, dei risultati tangibili e immediatamente effettivi. Ricordiamo al distratto Renzi la riduzione del cuneo fiscale in busta paga, che diventerà strutturale e sarà ritoccata ancora al ribasso nei prossimi anni; la radicale revisione del Reddito di cittadinanza e lo stop immediato a storture che portano a dilapidare un sacco di soldi pubblici senza alcun ritorno in termini di Pil come il bonus edilizia; il riaffacciarsi, dopo anni di stagnazione, della crescita economica in Italia, che certifica la bontà dell’azione di questo Governo.

Ultima in ordine di tempo, ma non meno importante, la riforma della Giustizia attesa da parecchio, che incide su aspetti determinanti come il reato di abuso d’ufficio, finalmente abolito perché di difficile interpretazione e causa di intasamenti presso i tribunali, a fronte inoltre di un numero risibile di condanne, e le intercettazioni telefoniche, giustamente riviste con qualche limite in più. Ciò che non è penalmente rilevante deve essere subito distrutto e non divulgato, e alla stessa maniera devono essere cancellate con immediatezza tutte quelle conversazioni captate durante una indagine di persone non coinvolte in alcuna inchiesta.

In passato, lo strumento delle intercettazioni è stato usato e abusato in modo arbitrario e pruriginoso, creando numerosi problemi a soggetti innocenti e neppure indagati. Spesso è sembrato che si spiasse i telefoni altrui non tanto per assicurare alla Giustizia uno o più responsabili di qualche reato, bensì al fine di ostacolare delle carriere, politiche e non, passando sottobanco alle redazioni dei giornali tutto il materiale registrato, inclusi aspetti privi di importanza penale, ma utili, appunto, ad infangare il personaggio sgradito e scomodo del momento. Occorreva prima o poi porre un freno a tale barbarie.

Se Giorgia Meloni fosse velleitaria, rimarrebbe a Roma a lamentarsi e a sbraitare, circa, per esempio, gli sbarchi di immigrati clandestini, contro l’Europa, il mondo e il destino cinico e baro, e non volerebbe, come invece ha fatto e fa, sino ai luoghi di partenza dei barconi, Tunisia e Libia, per discutere con le autorità locali in merito alle misure da adottare per fermare il business criminale che lucra sulla disperazione.

Certo, alcuni traguardi sono già stati raggiunti, molti altri lo saranno nel breve termine ed altri ancora nel medio-lungo periodo, come un abbassamento delle tasse più significativo, il dimagrimento della burocrazia e le riforme istituzionali. Anche la battaglia per una accoglienza diversa degli immigrati, a livello italiano ed europeo, può non dare risultati domattina perché è necessario un lavoro di tessitura sia con Bruxelles, la quale notoriamente non brilla per rapidità, che con la Tunisia e la Libia, caratterizzate purtroppo da equilibri politici fragili, (ci auguriamo nessuno voglia attribuire responsabilità alla Meloni per l’instabilità in Nord Africa). Tuttavia, è già tracciata la strada del contrasto risoluto alla immigrazione clandestina, con le buone, ossia di concerto con la Ue, o con le cattive, ovvero tramite decisioni unilaterali da parte dell’Italia. La premier Meloni è ben consapevole delle cose che possono essere fatte subito o quasi, e di quelle sfide che richiedono invece più tempo, e lo afferma pubblicamente ogni giorno, ma il suo è un governo di legislatura con un orizzonte minimo di cinque anni. Perciò, si tratta di un esecutivo dotato della capacità di programmare e calendarizzare la propria attività, stabilendo delle priorità e non correndo così il rischio di sovrapporre troppe questioni in un ridotto lasso di tempo e finire poi per non fare nulla o combinare pasticci. Forse Matteo Renzi non conosce il pragmatismo tipico dei conservatori e ignora la natura dei governi di legislatura. In effetti, il suo, di governo, non durò per una intera legislatura, iniziò non benissimo e finì peggio. In quella che assai erroneamente viene definita Terza Repubblica, abbiamo avuto gli “scappati di casa”, vale a dire i grillini, che si sono distinti, al governo del Paese, per improvvisazione e incompetenza. Ma a Palazzo Chigi sono passati anche tanti “spaventati e frettolosi”, i quali, coscienti di trovarsi alla guida di maggioranze a rischio immediato di implosione o esplosione, hanno brigato, non tanto per l’interesse nazionale, bensì per quello particolare, cercando di varare subito, prima di una possibile crisi di governo, qualche misura, (purché fosse), proficua dal punto di vista del tornaconto elettorale, e finendo poi per scivolare sulla classica buccia di banana. Renzi ha militato in questa ultima categoria. Per un po’ fu il Rottamatore, cioè colui che affermava di interpretare una nuova idea di politica e assicurava di voler raggiungere la stanza dei bottoni solo passando attraverso il giudizio popolare, e di rifiutare quindi gli inciuci di Palazzo.

Però, fu così impaziente e avido di potere da dimenticare abbastanza velocemente i proclami sbandierati alla Leopolda e da scalzare in modo poco elegante il povero Enrico Letta, (ci ricordiamo ancora del famoso “Enrico, stai sereno”). Sapendo bene di essere diventato premier con uno di quei sotterfugi della peggiore e vecchia politica, in totale contraddizione con sé stesso, e di condurre una maggioranza non solidissima, si prodigò in politiche dal guadagno elettorale facile, come il bonus di 80 euro, ma dal corto respiro, sino a rompersi l’osso del collo con il referendum del 2016. Matteo, stai sereno, Giorgia Meloni è molto diversa da te.

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Roberto Penna
Roberto Penna
Roberto Penna nasce a Bra, Cn, il 13 gennaio 1975. Vive e lavora tuttora in Piemonte. Per passione ama analizzare i fatti di politica nazionale e internazionale da un punto di vista conservatore.

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