Intervista di Francesco Borgonovo da “La Verità” del 7 aprile 2025
Parla l’editore che ha da poco pubblicato il saggio di Maurice Bardèche Louis-Ferdinand Céline, a cura di Moreno Marchi, sull’autore del Viaggio al termine della notte: «Portò in pagina la tridimensionalità del parlato»
Andrea Lombardi è uno dei massimi conoscitori di Céline in Italia. Con la sua casa editrice Italia Storica ha appena pubblicato la suggestiva biografia dell’autore francese firmata da un collega quasi maledetto quanto lui, ovvero Maurice Bardèche.
«Bardèche fu uno dei maggiori intellettuali francesi del Novecento», dice Lombardi. «Un saggista, un critico d’arte… Assieme al cognato Robert Brasillach (di cui sposò la sorella Susanne) curò la prima enciclopedia sul cinema, fu poi molto impegnato politicamente nella destra radicale, partendo prima da delle posizioni monarchiche e poi rapidamente virando verso il fascismo. Si definiva proprio uno scrittore fascista, cosa che rivendicò sempre anche nel secondo dopoguerra».
Tuttavia si occupò dei più svariati argomenti.
«Sì, Bardèche scrisse di Proust, di Léon Bloy, di Balzac, quindi non si limitò soltanto alla pubblicistica politica. Il suo libro migliore da questo punto di vista è forse Norimberga la terra promessa, dove già nel 1948, partendo dalla “giustizia dei vincitori” ex post facto nel processo di Norimberga, denunciava il configurarsi di un nuovo ordine mondiale, di un’economia globalista e della dittatura dei diritti politicamente corretti. Stiamo parlando del 1948, quindi fu un libro veramente profetico, veramente rivoluzionario, dal suo punto di vista ovviamente. Tra l’altro questa pubblicazione gli costò una condanna penale e il sequestro delle copie».
Bardèche è dunque uno scrittore ha tanto in comune con Céline…
«C’è però una grossa differenza. Louis-Ferdinand Céline è da considerarsi uno dei maggiori romanzieri del Novecento e un rivoluzionario del linguaggio e della letteratura. Poi sicuramente aveva le sue idee politiche, peraltro abbastanza confuse. Però principalmente è un rivoluzionario della letteratura e fece non una, ma due rivoluzioni».
Quali?
«La prima è quella che viene usualmente ricordata è quella dello stile. Céline era stato corazziere nella Prima guerra mondiale, fu ferito in azione. Poi fu addetto all’ambasciata francese a Londra, andò in Congo, fu medico borghese a Rennes… Rifiutò l’esistenza borghese e si mise a girare il mondo sempre come medico grazie alla fondazione di Rockefeller. Infine ritornò in Francia a fare il medico di banlieue e solo nel 1932 (lui è nato nel 1894, quindi ormai aveva quasi 40 anni) decise di scrivere quel capolavoro che fu il Viaggio al termine della notte, che è un libro parzialmente autobiografico. Ecco, qui appunto c’è la sua rivoluzione che non è tanto nel contenuto, quanto nello stile, che è uno stile popolare con delle venature di argot (l’argot è lo slang dei bassifondi). Fece questo in un periodo in cui tutti gli scrittori francesi cercavano lo stile più cristallino possibile».
E la seconda rivoluzione?
«La seconda rivoluzione è quella dei suoi ultimi libri, Da un castello all’altro, Nord e Rigodon, dove tramite un sapiente uso dei puntini di sospensione, dei punti esclamativi, di una costruzione meticolosa, certosina, da grande artigiano della parola, riesce a rendere la tridimensionalità del parlato – con le sue enfasi e le sue pause – nella bidimensionalità della parola scritta».