Mascherine: cronistoria di un disastro annunciato

Fino a qualche mese fa nessuno, a parte pochi casi e poche categorie di individui, facenti parte del settore medico – sanitario, avevano mai fatto un utilizzo frequente delle mascherine, che fossero chirurgiche, FFP2 o FFP3.

A causa di questo mercato molto ristretto, fino all’esplosione della pandemia di inizio anno, tali presidi erano acquistati esclusivamente dalla Cina, in quanto ritenuti non economicamente convenienti da produrre in Italia, ed al settore farmaceutico, che li acquistava per la rivendita al pubblico, le mascherine chirurgiche costavano all’incirca 15/20 centesimi di euro per singola unità.

Non essendo mai stati ritenuti mezzi medicali, non erano, inoltre, mai stati stabiliti dei prezzi consigliati di vendita. Questo quanto accadeva fino ai primi giorni di questo 2020, precedentemente all’esplosione del fenomeno pandemico.

Con la diffusione del CoViD – 19 in tutto il mondo si è, purtroppo, verificato ciò che nessuno avrebbe potuto mai pensare prima: uno shock del mercato, con la domanda del bene schizzata alle stelle ed un mercato interno assolutamente impreparato a soddisfarla per ovvi motivi. Si è fatto quindi accesso con maggiore intensità al mercato esterno ma, nei primi momenti, gran parte del materiale di produzione, per le tristi lungaggini burocratiche che affliggono l’Italia, rimaneva bloccato in dogana.

A causa dell’altissima domanda di mascherine – a causa anche della fortissima confusione nella comunicazione del governo e dell’Istituto Superiore di Sanità, che non ha dato modo di intendere a quali categorie fossero utili e quali, tra le chirurgiche, FFP2 e FFP3, utilizzare – i farmacisti, subissati dalle richieste, si sono ritrovati costretti a rivolgersi ai più svariati rivenditori.

Si, perché l’improvvisa esplosione della pandemia ha generato 2 mostri: il primo è quello dei produttori che, fiutando un possibile affare, si sono reinventati in un mercato diverso; il secondo è quello dei rivenditori intermedi, che son passati dalla vendita di articoli completamente differenti a quella delle mascherine, senza far troppo caso alla qualità delle stesse, interessati al profitto più che alle normative.

Ma analizziamo questi due fenomeni.

Nel momento di massima crisi – e quindi di massima domanda – moltissimi venditori intermedi improvvisati hanno generato un mercato delle mascherine, spesso contattando direttamente loro i farmacisti, come qualsiasi vendita di beni porta a porta. Non riuscendo a far fronte alle richieste del pubblico e soprattutto alla fortissima campagna mediatica ingenerante allarme diffuso, le farmacie hanno acquistato a prezzi folli all’interno di un mercato impazzito.

Sempre in questo momento moltissimi produttori, convinti anche dalla promessa governativa di uno stanziamento a favore delle aziende che avessero riconvertito la propria produzione, si son gettati nella produzione di mascherine. E nei loro confronti è giunta una doccia fredda: il governo ha annunciato, a riconversione effettuata e produzione cominciata, di aver effettuato uno stanziamento a favore delle aziende riconvertite di soli 50 milioni di euro: moltissimi imprenditori – come hanno ampiamente già segnalato – non rientreranno mai dal costo sostenuto per la riconversione.

Alla luce di questo scenario, veniamo ai giorni più recenti, all’annuncio del prezzo calmierato per quelli che oggi sono i beni più richiesti dal mercato: le mascherine chirurgiche.

Nell’ultima conferenza stampa, il presidente del consiglio Giuseppe Conte annuncia urbi et orbi che  sarà imposto un prezzo di vendita massimo per il presidio medico – sanitario: 50 centesimi di euro senza IVA. Basta questo per innescare le prime domande: come si fa ad imporre un prezzo massimo di vendita a chi ha acquistato il medesimo bene ad un prezzo superiore?

Ulteriore batosta la mattina successiva: con ordinanza, Domenico Arcuri ha disposto il divieto per le farmacie di vendere le mascherine chirurgiche ad un prezzo superiore a 50 centesimi + IVA, causando l’immediata replica di Conte che, accortosi dell’ennesima comunicazione errata, annuncia che presto sarebbero state prese contromisure per offrire ai farmacisti il ristoro quantomeno dell’IVA.

Ed ora che lo scenario è completo, passiamo alle analisi reali, effettuate di concerto con dati e testimonianze fornite anche dallo stesso mondo farmaceutico, quelle che spesso chi è al potere oggi ha dimostrato di non fare, per imperizia o per fretta. Non si vuole assolutamente pensare all’incapacità.

  • I farmacisti, già danneggiati nell’immagine da una narrativa che li dipinge come approfittatori, soprattutto nella prima fase della pandemia, hanno acquistato le mascherine chirurgiche a costi oscillanti tra 0,90 centesimi e 1 euro più IVA. Non è sostenibile la vendita in perdita, non serve un premio nobel in economia sapere cosa comporterebbe. Va inoltre ricordato che la categoria è stata colpita dalla pandemia: ad oggi si contano quasi 1200 contagiati e 14 morti tra i farmacisti.
  • I produttori riconvertiti, che non rientrerebbero comunque delle spese sostenute per la riconversione, non sarebbero più tenuti a produrre senza margine di guadagno.
  • Gli importatori non importerebbero più il bene in quanto l’attività di import avverrebbe in perdita.
  • Va considerato che lo Stato, fino ad oggi e nulla disponendo per il futuro, ha fatto pagare l’IVA su di un bene essenziale, trattandolo però come bene di lusso. Questo non risponde all’esigenza che avvertono i cittadini di disporre del bene per lo svolgimento delle ordinarie e quotidiane necessità giornaliere.
  • L’insieme dei tre fenomeni arriverebbe a produrre una conseguenza nefasta: la scarsità del bene sui mercati legali e la crescita di un mercato parallelo illegale privo di calmierazione dei prezzi, nel quale a farla da padrone sarebbero le mafie.

Sarebbe il caso che chi oggi si trova al timone della nave inverta la rotta. Prima di impattare contro qualche iceberg e colare a picco.

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Nello Simonelli
Nello Simonelli
Nello Simonelli nasce ad Avezzano (AQ) il 26 novembre 1988. Sin da bambino interessato a tutto ciò che verte intorno al mondo del giornalismo e della scrittura, si laurea in giurisprudenza all’Università degli Studi di Teramo nel 2014, per poi dedicarsi ad attività che spaziano dal teatro alla dirigenza sportiva, dedicandosi ad ulteriori studi nel ramo del marketing e della comunicazione oltre che del diritto sportivo. Lavora presso lo Studio Legale Simonelli di Avezzano, è responsabile del circolo cittadino di Nazione Futura, scrive per diverse testate locali, nella Marsica ed in Abruzzo, e di approfondimento politico e sociale.

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