Migranti, cooperazione e Piano Mattei per risolvere la questione “a monte”: Italia apripista nel nuovo approccio europeo

La rotta del Mediterraneo Centrale, ormai, non è la più trafficata d’Europa. Con essa, si intende il percorso che unisce Libia, Tunisia, Malta e Sud Italia. Secondo Frontex, l’Agenzia europea della guardia di frontiera e costiera, il calo è del 70% rispetto allo stesso periodo dell’anno precedente. È il segno, questo, del successo del governo Meloni in fatto di politica migratoria: l’accordo con la Tunisia fa sentire i suoi effetti dall’autunno scorso, quando il calo di sbarchi sulle coste italiane è diventato corposo e numerosi scafisti sono stati bloccati al largo di Tunisi.

L’obiettivo ora è incrementare il lavoro, con la consapevolezza del fatto che i flussi non si arrestano solo tramite accordi con i Paesi di transito, che pure ne mitigano la portata. Il vero obiettivo è lavorare sui Paesi di origine dei flussi tramite il Piano Mattei, accolto con favore dalle Istituzioni europee e soprattutto dai leader dei Paesi africani coinvolti, grazie soprattutto al nuovo approccio di collaborazione fortemente voluto da Giorgia Meloni. Il Piano Mattei servirà soprattutto a scongiurare l’ipotesi, molto concreta, di superpotenze straniere che soffiano sull’immigrazione di massa per indebolire l’intera Europa. Ed effettivamente, chiudere i flussi del Mediterraneo centrale ha portato allo spostamento di questi verso la rotta occidentale, che vede come terra di approdo la Spagna: il governo socialista di Sanchez ha infatti registrato l’ingresso irregolare di circa 16 mila persone nel primo trimestre dell’anno corrente, un aumento considerevole rispetto allo stesso periodo del 2023 (quando gli sbarchi erano appena 4 mila). L’aumento più corposo riguarda le isole Canarie con circa 13 mila sbarchi: isole in cui l’aumento si era già fatto sentire a fine 2023.

Che da un lato i flussi si blocchino (rotta Tunisia-Italia) e dall’altro aumentino (Marocco-Spagna) non è un caso, ma tra i fatti c’è evidente correlazione: il controllo delle coste tunisine e libiche comporta un inevitabile spostamento dei flussi verso ovest, verso quei Paesi che, probabilmente sotto le spinte di politiche pro-immigrazioniste tipiche della sinistra, non si sono dotate di accordi al pari di quanto fatto, viceversa, dall’Italia. È questo il motivo per cui Giorgia Meloni sta premendo per una sempre maggiore cooperazione internazionale: non solo perché un pieno contrasto all’immigrazione si può ottenere soltanto con la partecipazione di tutti gli attori in campo, ma anche perché il pericolo di ritrovarsi invasi dai flussi riguarda e può potenzialmente riguardare tutti i Paesi europei e del Mediterraneo, anche quelli che in un primo momento ne potevano essere interessati soltanto “di striscio”. E così, allora, si ritorna a quel fine ultimo inseguito dal Piano Mattei: promuovere sviluppo e lavoro in Africa non solo per bloccare a monte i flussi migratori, ma per eliminare le motivazioni (fame, povertà, disoccupazione) che spingono numerosi giovani a lasciare le proprie terre natie. In questo, il governo Meloni, col suo Piano Mattei, ha svolto il ruolo chiave di apripista per una nuova visione comunitaria dell’immigrazione.

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