E’ una caldissima giornata di Luglio quando un bel pupone viene al mondo ad Avellino, salvo poi trasferirsi con tutta la famiglia e crescere a Pomigliano D’Arco. Si chiamerà Luigi, ed è il primogenito di Antonio, piccolo imprenditore edile attivo in politica col MSI prima e con AN poi.
Luigi è tutto sommato un bravo bambino, bene educato, anche se a scuola non è un “fulmine di guerra” come dimostra il fatto che pur avendo una mamma professoressa di italiano e latino, vive ancora oggi il congiuntivo – e non solo – come una maledizione. Alla fine, però, ce la fa a recuperare un diploma al liceo classico Vittorio Imbriani, e si trasferisce come si conviene all’Università locale iscrivendosi prima a ingegneria Informatica e poi, presa un po’ più coscienza di sé, transitando dalla facoltà di giurisprudenza. Lì non è che si distingua per merito e profitto, ma mostra ottime doti di organizzatore e di affabulatore, cioè di uno capace di veicolare il proprio pensiero in modo accattivante anche quando insensato.
Luigi a quel punto comincia a ispirarsi al papà, purtroppo non per quanto riguarda le costruzioni edili, ma per quella passione del genitore che è la politica; politica rigorosamente a destra. La scelta di Luigi è diversa. Non ha più tempo per gli studi, ma si getta anima e corpo nel nascente MoVimento di Grillo. A ben pensarci, non è poi questa scelta coraggiosa se non sei conosciuto, perché a differenza dei partiti noti e già tanto supportati, nel MoVimento c ‘è la concreta possibilità di farsi strada, di diventare un big della politica. Certo, sempre che il MoVimento cresca, ma i presupposti ci sono tutti. Grillo è bravo, Casaleggio di più. Per la prima volta la politica usa internet, e lo fa bene, trascinando con sé la marea montante dello scontento per governi mai eletti ma sempre nominati, incapaci di togliere il Paese dalle secche in cui è precipitato, ma anzi quasi orgogliosi di vederlo affogare.
Luigino Di Maio, improvvisamente, deve abbandonare tutti i vari lavoretti in cui si è messo alla prova negli ultimi anni, da giornalista sportivo per Il Punto, ad agente di commercio, a cameriere, allo steward allo stadio San Paolo dove per un periodo ha venduto anche bibite, a il manovale nell’azienda edile della famiglia per dedicare tutto il suo tempo ai 5stelle, dove lui e il suo alter ego, il meno simpatico e più arcigno Alessandro di Battista, stanno scalando rapidamente tutti i livelli del potere per assestarsi un gradino sotto grillo e Casaleggio, ma uno sopra a tutti gli altri.
Da quel momento in poi, la carriera politica di Luigi Di Maio – che molti scorretti si ostinano a chiamare ‘Gigino o Bibitaro’ – sale in cielo come un missile. Il nostro eroe brucia tutte le tappe, e diventa capo politico del partito mettendo nell’angolo Di Battista che si prende un anno sabatico con tanta umiltà sulle orme del Che Guevara. Con l’accordo dei maggior enti, scegli anche di fare un governo con i leghisti di Matteo Salvini, e forse proprio da quel punto inizia la parabola discendente di cotanta stella della politica italiana. Per sé in quel governo, il giovine signore di Pomigliano d’Arco che ha difficoltà a collocare Matera nello stivale nazionale, scegli la vicepresidenza del consiglio, in tandem con Salvini, e il ministero del lavoro. Robetta da niente. Gigino non ne parla, e sul sito del MISE non ne scrivono, ma ci sono almeno 158 tavoli aperti alla ricerca di una soluzione che non rovini la vita ai quasi 200mila lavoratori coinvolti e quindi ad altrettante famiglie. Certo è, che se ne parli o si taccia, Di Maio non conclude nulla. La litania è sempre la stessa: ‘non è colpa dei 5stelle ma di chi ci ha preceduto’, il che in parecchi casi è anche vero, ma se la gente ha votato in massa per i grillini è perché si aspettava un cambio radicale rispetto al pregresso e non certo il piagnucolio di chi ha assunto un ruolo che non è in grado di ricoprire.
Così, il MoVimento comincia a perdere pezzi, e molti danno la responsabilità di questa débâcle proprio a Gigino, e alle sue scelte che continuano quando il governo con Salvini cade, e lui accetta di farne un altro con – fino al giorno prima – gli odiosissimi avversari del PD. Naturalmente, è una scelta appoggiata da Grillo, forse addirittura indotta, obbligata, a cui comunque Di Maio non sa dire di no. E così nel malumore generale che ricade sulle sue spalle, Grillo gli compare al fianco per cercare di salvaguardarlo e irrobustire una leadership che ormai sta implodendo.
A oggi possiamo dire che non è andata. Pare infatti che oggi stesso Di Maio sia deciso a lasciare la guida politica del MoVimento, mantenendo per sé il ruolo governativo, attualmente quello di “trasparente” ministro degli Esteri. Staremo a vedere ma possiamo dire che un po’ Di Maio ci fa tenerezza?