Papa Francesco e gli insegnamenti che ci ha lasciato per affrontare le sfide del futuro con la giusta fede

È stato il Papa del popolo.

È stato il Papa che voleva “una Chiesa povera per i poveri”.

È stato il Papa della gentilezza e dell’affetto.

È stato il Papa di uno dei periodi più complessi della nostra storia: dalla pandemia alla guerra in Ucraina, fino alla ripresa delle ostilità in Medio Oriente.

È stato Papa fino all’ultimo, rimanendo accanto ai fedeli, mostrandosi loro come esempio di coraggio, fede e speranza.

La scomparsa di Jorge Mario Bergoglio, nonostante lasci un vuoto e una tristezza incommensurabili, porta con sé però anche un messaggio importantissimo: credere e avere fede fino alla fine, senza farci mai abbattere dalle difficoltà della nostra vita terrena.

Papa Francesco ha mostrato di essere un modello virtuoso di speranza e di coraggio, senza mai lasciarsi sopraffare nemmeno dalla malattia del corpo, ben conscio che la vera ricchezza è quella spirituale.

Il Santo Padre, nel corso di questi lunghi dodici anni, è stato soprattutto un uomo del popolo, o meglio, dei popoli.

Ha cercato sempre di svolgere un ruolo fondamentale per dirimere le questioni più complesse dei nostri giorni.

Ha viaggiato in tutto il mondo, esportando davvero il suo esempio di fede e il suo messaggio di pace.

È stato un Papa che teneva al presente, ma soprattutto al futuro, del mondo e di tutti coloro che lo abitano.

Per questo, vorremmo ricordare, in particolare, tre suoi recenti interventi che ha tenuto su tematiche ora più che mai fondamentali: l’intelligenza artificiale, la natalità e la guerra, che oggi viviamo drammaticamente in diverse parti del mondo.

Tre interventi che non rappresentano solo degli importanti spunti di riflessione, ma che sono dei veri e propri insegnamenti da tenere a mente per affrontare le prossime sfide del futuro con il giusto spirito, così come ci ha mostrato Papa Francesco fino al suo ultimo giorno.

Il G7 a Borgo Egnazia e la riflessione sull’intelligenza artificiale

In occasione della riunione del G7 tenutasi in Puglia, il Santo Padre ha affrontato le sfide della tecnologia odierna, in particolare quelle connesse allo sviluppo della intelligenza artificiale:

L’intelligenza artificiale è uno strumento estremamente potente, impiegato in tantissime aree dell’agire umano: dalla medicina al mondo del lavoro, dalla cultura all’ambito della comunicazione, dall’educazione alla politica. Ed è ora lecito ipotizzare che il suo uso influenzerà sempre di più il nostro modo di vivere, le nostre relazioni sociali e nel futuro persino la maniera in cui concepiamo la nostra identità di esseri umani.

Il tema dell’intelligenza artificiale è, tuttavia, spesso percepito come ambivalente: da un lato, entusiasma per le possibilità che offre, dall’altro genera timore per le conseguenze che lascia presagire. A questo proposito si può dire che tutti noi siamo, anche se in misura diversa, attraversati da due emozioni: siamo entusiasti, quando immaginiamo i progressi che dall’intelligenza artificiale possono derivare, ma, al tempo stesso, siamo impauriti quando constatiamo i pericoli inerenti al suo uso.

[…]

Non dobbiamo dimenticare che l’intelligenza artificiale non è un altro essere umano e che essa non può proporre principi generali, è spesso un grave errore che trae origine o dalla profonda necessità degli esseri umani di trovare una forma stabile di compagnia o da un loro presupposto subcosciente, ossia dal presupposto che le osservazioni ottenute mediante un meccanismo di calcolo siano dotate delle qualità di certezza indiscutibile e di universalità indubbia.

[…]

Non possiamo, quindi, nascondere il rischio concreto, poiché insito nel suo meccanismo fondamentale, che l’intelligenza artificiale limiti la visione del mondo a realtà esprimibili in numeri e racchiuse in categorie preconfezionate, estromettendo l’apporto di altre forme di verità e imponendo modelli antropologici, socio-economici e culturali uniformi. Il paradigma tecnologico incarnato dall’intelligenza artificiale rischia allora di fare spazio a un paradigma ben più pericoloso, che ho già identificato con il nome di “paradigma tecnocratico”. Non possiamo permettere a uno strumento così potente e così indispensabile come l’intelligenza artificiale di rinforzare un tale paradigma, ma anzi, dobbiamo fare dell’intelligenza artificiale un baluardo proprio contro la sua espansione.

Ed è proprio qui che è urgente l’azione politica, come ricorda l’Enciclica Fratelli tutti. Certamente «per molti la politica oggi è una brutta parola, e non si può ignorare che dietro questo fatto ci sono spesso gli errori, la corruzione, l’inefficienza di alcuni politici. A ciò si aggiungono le strategie che mirano a indebolirla, a sostituirla con l’economia o a dominarla con qualche ideologia. E tuttavia, può funzionare il mondo senza politica? Può trovare una via efficace verso la fraternità universale e la pace sociale senza una buona politica?».

La nostra risposta a queste ultime domande è: no! La politica serve! Voglio ribadire in questa occasione che «davanti a tante forme di politica meschine e tese all’interesse immediato la grandezza politica si mostra quando, in momenti difficili, si opera sulla base di grandi principi e pensando al bene comune a lungo termine. Il potere politico fa molta fatica ad accogliere questo dovere in un progetto di Nazione e ancora di più in un progetto comune per l’umanità presente e futura».

Questa mia riflessione sugli effetti dell’intelligenza artificiale sul futuro dell’umanità ci conduce così alla considerazione dell’importanza della “sana politica” per guardare con speranza e fiducia al nostro avvenire. Come ho già detto altrove, «la società mondiale ha gravi carenze strutturali che non si risolvono con rattoppi o soluzioni veloci meramente occasionali. Ci sono cose che devono essere cambiate con reimpostazioni di fondo e trasformazioni importanti. Solo una sana politica potrebbe averne la guida, coinvolgendo i più diversi settori e i più vari saperi. In tal modo, un’economia integrata in un progetto politico, sociale, culturale e popolare che tenda al bene comune può “aprire la strada a opportunità differenti, che non implicano di fermare la creatività umana e il suo sogno di progresso, ma piuttosto di incanalare tale energia in modo nuovo”».

Questo è proprio il caso dell’intelligenza artificiale. Spetta ad ognuno farne buon uso e spetta alla politica creare le condizioni perché un tale buon uso sia possibile e fruttuoso.

Gli Stati Generali della Natalità

Lo scorso maggio 2024, il Pontefice è intervenuto in occasione degli Stati Generali della Natalità, durante i quali aveva posto l’attenzione sull’uomo e sulla necessità di realizzare politiche mirate che rimettano al centro l’uomo e la famiglia:

“Il tema della natalità mi sta molto a cuore. Ogni dono di un figlio, infatti, ci ricorda che Dio ha fiducia nell’umanità. Il nostro ‘esserci’ non è frutto del caso: Dio ci ha voluti, ha un progetto grande e unico su ciascuno di noi, nessuno escluso. In questa prospettiva, è importante incontrarsi, lavorare insieme per promuovere la natalità con realismo, lungimiranza e coraggio. Vorrei riflettere un po’ su queste tre parole-chiave.

Prima: realismo. In passato, non sono mancati studi e teorie che mettevano in guardia sul numero degli abitanti della Terra, perché la nascita di troppi bambini avrebbe creato squilibri economici, mancanza di risorse e inquinamento. Mi ha sempre colpito constatare come queste tesi, ormai datate e superate da tempo, parlassero di esseri umani come se si trattasse di problemi. Ma la vita umana non è un problema, è un dono. E alla base dell’inquinamento e della fame nel mondo non ci sono i bambini che nascono, ma le scelte di chi pensa solo a sé stesso, il delirio di un materialismo sfrenato, cieco e dilagante, di un consumismo che, come un virus malefico, intacca alla radice l’esistenza delle persone e della società. Il problema non è in quanti siamo al mondo, ma che mondo stiamo costruendo – questo è il problema; non sono i figli, ma l’egoismo, che crea ingiustizie e strutture di peccato, fino a intrecciare malsane interdipendenze tra sistemi sociali, economici e politici.

L’egoismo rende sordi alla voce di Dio, che ama per primo e insegna ad amare, e alla voce dei fratelli che ci stanno accanto; anestetizza il cuore, fa vivere di cose, senza più capire per cosa; induce ad avere tanti beni, senza più saper fare il bene. E le case si riempiono di oggetti e si svuotano di figli, diventando luoghi molto tristi. Non mancano i cagnolini, i gatti, questi non mancano. Mancano i figli. Il problema del nostro mondo non sono i bambini che nascono: sono l’egoismo, il consumismo e l’individualismo, che rendono le persone sazie, sole e infelici. Il numero delle nascite è il primo indicatore della speranza di un popolo. Senza bambini e giovani, un Paese perde il suo desiderio di futuro.

Serve lungimiranza, che è la seconda parola-chiave. A livello istituzionale, urgono politiche efficaci, scelte coraggiose, concrete e di lungo termine, per seminare oggi affinché i figli possano raccogliere domani. C’è bisogno di un impegno maggiore da parte di tutti i governi, perché le giovani generazioni vengano messe nelle condizioni di poter realizzare i propri legittimi sogni. Si tratta di attuare serie ed efficaci scelte in favore della famiglia. Ad esempio, porre una madre nella condizione di non dover scegliere tra lavoro e cura dei figli; oppure liberare tante giovani coppie dalla zavorra della precarietà occupazionale e dell’impossibilità di acquistare una casa.

Terza parola: coraggio.E qui mi rivolgo particolarmente ai giovani. So che per molti di voi il futuro può apparire inquietante, e che tra denatalità, guerre, pandemie e mutamenti climatici non è facile mantenere viva la speranza. Ma non arrendetevi, abbiate fiducia, perché il domani non è qualcosa di ineluttabile: lo costruiamo insieme, e in questo ‘insieme’ prima di tutto troviamo il Signore. È Lui che, nel Vangelo, ci insegna quel ‘ma io vi dico’ che cambia le cose: un ‘ma’ che profuma di salvezza, che prepara un ‘fuori schema’, una rottura. Facciamo nostro questo ‘ma’, tutti, qui e ora. Non rassegniamoci a un copione già scritto da altri, mettiamoci a remare per invertire la rotta, anche a costo di andare controcorrente! Come fanno le mamme e i papà della Fondazione per la Natalità, che ogni anno organizzano questo evento, questo ‘cantiere di speranza’ che ci aiuta a pensare, e che cresce, coinvolgendo sempre più il mondo della politica, delle imprese, delle banche, dello sport, dello spettacolo e del giornalismo.

La guerra come fallimento dei popoli

Infine, sul drammatico tema della guerra, il Santo Padre poco tempo fa lasciava una lezione importante: la guerra, qualsiasi guerra, è un vero e proprio fallimento per i popoli.

Diceva, in particolare, che Ucraina e Palestina sono “due fallimenti dell’umanità, dove si soffre e dove la prepotenza dell’invasore prevale sul dialogo”. E ammoniva ricordando che:

“Dobbiamo sempre ricordare e imparare dalla storia, un attaccamento malsano alle ferite e ai pregiudizi del passato non può mai portare a una pace vera e duratura. Di fatto, perpetua soltanto la spirale del conflitto e della divisione. Impegnarsi sempre nel dialogo, poiché esso è lo strumento principale a nostra disposizione; i giovani possono essere grandi artigiani di pace attraverso il dialogo. La speranza non delude, non perdere mai la speranza. È così facile scoraggiarsi, quando vediamo gli effetti devastanti della guerra e dell’odio, per non parlare della povertà, della fame, della discriminazione e di varie altre realtà che minacciano la prospettiva della pace. Queste realtà sono frutto delle guerre. Forse sarete anche stati criticati perché vi concentrate sul bisogno del dialogo, allo scopo di portare avanti la causa della pace. In quei momenti, ricordate che qualsiasi cosa che valga la pena di fare, non è mai facile. Richiede sacrificio e la volontà di tornare a impegnarsi ogni giorno, soprattutto quando le cose sembrano non andare come vorremmo”.

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