“Parlate di Mafia” è stata l’ennesima dimostrazione che per Fratelli d’Italia l’antimafia non è uno slogan. Il convegno, svoltosi oggi a Catania e giunto quest’anno alla sua terza edizione, ha infatti visto la partecipazione di numerosi ospiti, membri di spicco dei gruppi parlamentari di Fratelli d’Italia: tutti arrivati a Catania per testimoniare il netto contrasto, loro e del partito, alle criminalità organizzata, portando avanti tutto ciò che il Governo Meloni, con la Commissione Antimafia guidata da Chiara Colosimo, sta attuando contro le mafie. Dalla ricerca della verità sugli attentati ai danni dei magistrati Falcone e Borsellino alle azioni per allontanare i più giovani dalla criminalità organizzata; dalla lotta al degrado nelle periferie all’assoluto impegno su Caivano. “Parlate di mafia”, organizzato in collaborazione con l’ufficio studio di Fratelli d’Italia, è stato questo, un modo, come spiegato dal presidente del Senato Ignazio La Russa, per tenere vivo l’impegno della destra e del governo contro la mafia, prendendo come modelli virtuosi Falcone, Borsellino e tutti gli altri martiri di un sistema contro il quale troppo spesso si è voluto voltare le spalle. Fratelli d’Italia, così, dimostra la sua lunga storia a sostengo dell’antimafia, fin da quando, ancora nelle giovanili della destra, Giorgia Meloni sfilava per le strade di Palermo nell’annuale fiaccolata per ricordare il magistrato Borsellino.
La ricerca della verità
Negli anni, tuttavia, si è scelto di tacitare alcune verità che potevano essere fondamentali nella ricostruzione dei fatti di via D’Amelio e di Capaci. Proprio dopo l’uccisione di Falcone, come raccontato da Chiara Colosimo intervenendo a conclusione del primo panel “Paolo e Giovanni: la forza del coraggio, tra solitudine e ricerca della verità”, Borsellino sapeva di avere le ore contate, ma voleva fortemente portare a galla tutto ciò che di marcio si nascondeva sotto il tritolo posto lungo l’autostrada A29. Ma il magistrato trovò “troppa superficialità”, negligenza complice di un sistema che fa ancora chiede perché all’epoca fu fatto poco e nulla. Dal senatore Salvo Sallemi, unendosi a quanto detto dalla Colosimo, ha spiegato che comunque bisogna “coltivare la speranza”, che non può abbandonare chi ha sete di verità. Un lavoro per la verità su cui anche l’onorevole Giovanni Donzelli, intervenuto in apertura dei lavori, ha voluto complimentarsi con la presidente Colosimo, che per la prima volta ha aperto le porte della commissione Antimafia alla famiglia del magistrato Borsellino. Un modo per corroborare l’antimafia come valore non solo di facciata. Bisogna, per questo, parlare di mafia: “È importante parlare sempre di mafia – ha detto Donzelli – perché la mafia si nutre del silenzio, della compiacenza e delle Istituzioni deboli”.
Duri con chi delinque
“Con il governo Meloni – ha aggiunto l’onorevole – abbiamo iniziato a fare interventi forti contro la mafia a partire dall’ergastolo ostativo. Abbiamo proseguito nella difesa del 41 bis e proseguiamo anche nell’insegnare ai giovani che un’alternativa è sempre possibile alla criminalità e alle scorciatoie”. Sul tema della fermezza del governo contro coloro che speravano di rimanere impuniti di fronte a gravi crimini, magistrale è stato l’intervento di Andrea Delmastro, sottosegretario alla Giustizia, che ha voluto sottolineare la lotta, sua e dell’esecutivo, contro “Alfredo Cospito che, facendo la dieta, credeva, in concorso con i boss mafiosi, di poter inginocchiare lo Stato su uno dei patrimoni morali e giuridici più straordinari gemmati dal sangue di Falcone e Borsellino nel contrasto senza se e senza ma alla mafia, ovverosia, il carcere duro”. Sulla stessa lunghezza d’onda anche Arianna Meloni, responsabile della segreteria politica di Fratelli d’Italia: “Sull’esempio di Falcone e Borsellino il nostro governo ha inasprito le pene per certi crimini perché davanti a certi crimini bisogna marcire in galera. Abbiamo difeso – ha aggiunto – il carcere ostativo, un’intuizione del giudice Falcone che rischiava l’incostituzionalità e invece è ancora uno strumento giuridico utile perché incentiva i mafiosi a collaborare con la giustizia”.
Tenere i giovani lontani dalla mafia
Ma l’impegno del governo è stato forte anche sul tema dell’allontanamento dei giovani dalle mafie, con l’obiettivo di fare capire ai ragazzi, come bene ha esposto Colosimo, che fare le sentinelle per il clan del territorio “non è la vera libertà”, che la vera libertà è essere uomini liberi, che nascondersi in bunker per trenta anni pur di non vedere persi i propri guadagni non è un modello di vita giusta né conveniente. È questa la differenza tra mafioso e cittadino libero, ed è “responsabilità di tutti”, anche dei genitori e della società civile, allargare questo insegnamento ai più giovani. In questo contesto si inserisce l’impegno del governo su Caivano, sul quale è stato dedicato il secondo panel “Da Caivano al resto d’Italia: liberare le nuove generazioni dalle mafie”. Con il decreto Caivano si vuole dunque raggiungere questo obiettivo: riavvicinare allo Stato la popolazione di tutte le zone franche d’Italia. Tramite la scuola, l’istruzione, l’educazione, in un sistema che, come spiegato da Wanda Ferro, sottosegretario all’Interno, deve vedere impegnati tutti gli attori in campo, dalla Chiesa e al modo del sociale. E su questo, la dimostrazione che il governo Meloni fa sul serio, è da ritrovarsi nel fatto che, per contrastare un male sociale, quello di Caivano, è stato istituito un commissario speciale di governo, Fabio Ciciliano, anche lui presente al convegno. Un messaggio di speranza del governo per tutte le periferie d’Italia.
Parlarne sempre ricordando chi l’ha combattuta e ha dato la vita per sconfiggerla!