Partite IVA apri e chiudi. Il Governo Meloni contro evasione fiscale e concorrenza sleale.

Miliardi di euro di evasione fiscale e concorrenza sleale a danno degli imprenditori in regola con il fisco. Sono gli effetti collaterali delle società che aprono e chiudono nel giro di qualche mese per poi sparire nel nulla senza versare un euro di tasse e contributi. Un problema che in Italia esiste da anni e che finora è stato pressoché ignorato. Oltre dieci anni fa fu il centrodestra con l’ultimo governo Berlusconi ad occuparsene, disponendo, con il decreto legge 31 maggio 2010, n. 78, maggiori controlli sulle società che cessavano la propria attività entro un anno.

I governi di centrosinistra che si sono susseguiti nell’ultimo decennio non hanno mai voluto affrontare seriamente il fenomeno, nonostante almeno dal 2016 la questione sia all’attenzione della Guardia di Finanza, come si evince dalle relazioni sull’Economia non osservata e sull’evasione fiscale e contributiva del Mef. Basti pensare che l’ultimo rapporto della Commissione europea sul mancato gettito Iva sul territorio dell’Ue, che quantifica in 26,2 miliardi di euro il mancato incasso dell’imposta sul valore aggiunto in Italia nel 2020, il più alto in Europa, evidenzia come circa un quarto dell’ammanco sia imputabile proprio alle frodi, tra cui si annoverano anche quelle messe in atto dalle società “apri e chiudi”.

Fratelli d’Italia ha chiesto più volte di introdurre maggiori controlli e un deposito cauzionale a garanzia del pagamento delle tasse dovute. La proposta era stata avanzata nel 2019 e nel 2020 con degli emendamenti alla legge di bilancio e nel 2021 con una mozione dell’allora presidente dei deputati di FdI e attuale ministro dell’Agricoltura, Francesco Lollobrigida, che chiedeva un intervento sulla “concorrenza sleale” dei “negozi stranieri” che per i primi due anni “possono permettersi prezzi impossibili per chi deve pagare le tasse” e in seguito “cambiano proprietario, e così proseguono distruggendo il tessuto commerciale locale”.

La misura di contrasto nella legge di bilancio

Ma gli appelli del partito sono rimasti lettera morta, finché con l’avvento del governo guidato da Giorgia Meloni la misura è stata inserita nella prima legge di bilancio della XIX legislatura, redatta in tempi record dall’esecutivo appena insediatosi. Ora finalmente la stretta contro le partite Iva “apri e chiudi” permetterà di ridurre le frodi e l’evasione, combattendo la concorrenza sleale nei confronti di chi rispetta le regole. In particolare, con le nuove misure previste dalla manovra 2023 viene introdotta la possibilità per l’Agenzia delle entrate di effettuare un piano di controlli mirato (analisi di rischio) per verificare l’effettivo esercizio dell’attività, rafforzando il presidio già esistente sull’attribuzione delle partite Iva. Il contribuente potrà essere invitato a presentarsi di persona presso gli uffici competenti per esibire la documentazione che dimostri l’effettivo esercizio dell’attività e l’assenza dei profili di rischio individuati. Se quest’ultimo si rifiutasse di comparire o se i controlli avessero esito negativo, l’Agenzia delle entrate emanerà un provvedimento di cessazione della partita Iva, che sarebbe, quindi, chiusa d’ufficio.

Inoltre, in caso di chiusura, una nuova partita Iva potrà essere richiesta dallo stesso soggetto soltanto previo rilascio di una polizza fideiussoria o fideiussione bancaria di almeno 50mila euro per la durata di tre anni dalla data del rilascio, a garanzia del pagamento delle tasse. Si parla di almeno 50mila euro perché se prima dell’emanazione del provvedimento di cessazione fossero state riscontrate eventuali violazioni fiscali superiori a quello stesso importo, il valore della fideiussione dovrà essere pari alle somme dovute a seguito di tali violazioni, sempre che, specifica la nuova norma, “non sia intervenuto il versamento delle stesse”. La stretta prevede anche una sanzione amministrativa pecuniaria di 3mila euro a carico del contribuente destinatario del provvedimento, che viene emanata contestualmente alla chiusura d’ufficio da parte dell’Agenzia delle entrate. Sarà escluso dalle sanzioni il professionista che per conto del contribuente trasmette la dichiarazione di inizio attività. Il motivo è che l’intermediario non dispone di alcun potere di indagine sul contribuente che chiede l’apertura della partita Iva, né degli strumenti necessari per questo tipo di verifiche, e quindi non può rispondere in solido.

Le frodi si verificano negli ambiti più disparati. Uno dei casi più conosciuti è quello di alcuni imprenditori stranieri attivi nel settore del commercio al dettaglio che, come hanno documentato negli ultimi anni diverse inchieste giornalistiche, per non pagare tasse, contributi, multe e sanzioni predispongono “società di comodo” che chiudono o cambiano soggetto titolare in caso di controlli. Nel gennaio del 2022, ad esempio, a finire al centro di un dossier della Guardia di Finanza che parlava di 58mila società attivate e 37mila cessate negli ultimi dieci anni, per nascondere elusione ed evasione fiscale e contributiva ed altri illeciti, è stata la rete delle imprese cinesi “apri e chiudi”. Si trattava perlopiù di ditte individuali, di cui l’imprenditore titolare è un prestanome, che sopravvivono al massimo tre anni e che in questo periodo non dichiarano nulla oppure non versano tasse e contributi dovuti.

Ma ad offrire terreno fertile per le imprese “apri e chiudi” sono anche i marketplace sul web. La Federazione Optime, fondata dalle quattro maggiori catene di elettronica, Confcommercio e Aires (l’Associazione italiana retailer elettrodomestici specializzati), da tempo segnala il comportamento scorretto di diversi operatori che, appoggiandosi alle più famose piattaforme online al fine ottenere la fiducia dei consumatori, generano un’evasione stimata di circa 100 milioni di euro l’anno, soltanto per quanto riguarda la vendita dei beni sottoposti a inversione contabile Iva, e cioè smartphones, tablet, computer e console per i videogiochi. Si tratta di società composte da una sola persona, di solito ragazzi giovanissimi o persone molto anziane, con tutta probabilità dei prestanome, con denominazioni molto simili che richiamano il mondo dell’elettronica e con sede generalmente in Italia, Spagna o Malta. Di solito restano operative per un periodo di circa sei mesi, per poi sparire dalla circolazione una volta accumulato un debito consistente con il fisco. Nell’ultimo rapporto dell’Osservatorio della Federazione viene denunciato come “il mancato pagamento dell’Iva da parte di alcuni soggetti “mordi e fuggi” finisce per generare vantaggi economici per le piattaforme di intermediazione”, che permettono a queste società, che praticano prezzi più bassi delle grandi catene di distribuzione dell’elettronica, di operare sui propri portali trattandole come se fossero imprese “normali”.

Le imprese “apri e chiudi” hanno un ruolo anche in illeciti più ampi, come le “frodi carosello”, o le cessioni fittizie dei crediti edilizi. Nel primo caso si tratta di truffe effettuate attraverso l’utilizzo di società cosiddette “cartiere”, in operazioni di triangolazione tra Paesi Ue, finalizzate a non versare l’Iva e a detrarre finti crediti fiscali. Nel secondo, invece, le società satellite con soci e amministratori nullatenenti o irreperibili sono servite a monetizzare crediti inesistenti. Secondo un dossier presentato alla commissione Bilancio del Senato dalla Guardia di Finanza all’inizio di dicembre, nel giro di un anno, dal novembre 2021 alla fine del 2022, sono stati sottoposti a sequestro preventivo falsi crediti di imposta per oltre 3,6 miliardi di euro, in gran parte per lavori edilizi fatturati e mai avviati.

La misura introdotta nella legge di bilancio per il 2023, quindi, è necessaria e urgente per arginare un fenomeno che genera un volume consistente di evasione e che consente a chi riesce ad affrancarsi in modo fraudolento dall’onere del pagamento delle tasse di presentarsi sul mercato con prezzi concorrenziali, conseguendo un indebito vantaggio sugli imprenditori in regola con il fisco. Per questo, ha detto il presidente del Consiglio, Giorgia Meloni, presentando la legge di bilancio lo scorso 22 novembre, si tratta di “una misura di buon senso” che difende i commercianti onesti, e di “un modo efficace per combattere abusivismo e concorrenza sleale”. Una promessa mantenuta da Fratelli d’Italia, che aveva avanzato nuovamente la proposta in campagna elettorale e l’aveva inserita nel programma politico più votato dagli italiani, trasformandola in realtà a pochi mesi dall’insediamento dell’esecutivo di centrodestra guidato dalla leader del partito. “Vorremmo – aveva sottolineato la premier a proposito del provvedimento – che lo Stato cominciasse a far rispettare le regole a chi non lo fa, invece che accanirsi con chi le rispetta”.

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