Il tema delle pensioni è forse uno tra i più dibattuti degli ultimi anni, e non solo. Il perché si rinviene nel cambio del sistema, che nel 1996 si è trasformato, passando da retributivo a contributivo.
Dopo decenni, finalmente, il Governo Meloni interviene e sana, attraverso l’articolo 26 della Legge di bilancio, una stortura dell’attuale sistema previdenziale, che troppo spesso ha operato disuguaglianze tra i cittadini.
Come interviene il Governo
In particolare, la Legge di bilancio interviene sul decreto-legge 6 dicembre 2011, n. 201 che disciplina l’accesso alla pensione di vecchiaia e alla pensione anticipata dei pensionati contributivi puri.
Il comma 7 della legge in questione stabilisce che, per l’accesso alla pensione di vecchiaia da parte dei soggetti totalmente contributivi, non è sufficiente rispettare i requisiti richiesti dalla legge, ovvero 67 anni di età e 20 anni di contributi versati, ma è necessario anche aver maturato una pensione almeno pari ad 1,5 volte l’importo dell’assegno sociale (attualmente pari a 503 euro). In caso contrario, si avrà diritto alla pensione di vecchiaia una volta compiuto 71 anni. E, nel caso si volesse comunque andare in pensione, l’alternativa è richiedere l’assegno sociale “accontentandosi” di fatto di percepire meno di quanto si avrebbe diritto.
È quindi in questo senso che il Governo ha agito, e cioè eliminando il coefficiente dell’1,5 così che anche i lavoratori che rientrano interamente nel sistema contributivo potranno accedere alla pensione di vecchiaia al raggiungimento dei requisiti anagrafici e contributivi richiesti dalla norma generale.
Il comma 11, poi, disciplina l’accesso alla pensione anticipata da parte dei lavoratori contributivi, stabilendo, anche qui, un coefficiente minimo da rispettare. In questo caso, per acceder alla pensione anticipata, oltre al rispetto dei requisiti anagrafici (64 anni) e contributivi (20 anni di contributi versati), è necessario anche aver maturato un assegno pensionistico almeno pari a 2,8 volte l’assegno sociale.
Il Governo è intervenuto perciò su tale coefficiente, lasciandolo immutato per le donne, (per le quali è stata anzi prevista una riduzione legata al numero dei figli), mentre per gli uomini, è stato portato a 3,3, rendendo quindi leggermente più rigido l’accesso al pensionamento anticipato.
Altro settore in cui si è agito è quello relativo al riscatto dei vuoti contributivi. Con la nuova misura proposta si dà la possibilità di riscattare in forma agevolata fino a 5 anni di contributi, parificandoli a periodi di lavoro, anche a coloro che hanno iniziato a lavorare dopo il 1995. Con un meccanismo simile al riscatto agevolato della laurea si potranno quindi aggiungere 5 anni di contribuzione al proprio conto Inps, al fine di raggiungere prima la pensione. Questa operazione può essere fatta anche dal datore di lavoro: in tal caso la somma è deducibile dal reddito d’impresa o lavoro autonomo. La misura è prevista “in via sperimentale” per il biennio 2024-2025.
Uno sguardo al futuro
La manovra messa in atto dal Governo è chiara, improntata prima di tutto al principio di equità, dal momento che si agisce in favore dei lavoratori contributivi e, nello specifico, dei lavoratori e quindi dei futuri pensionati meno abbienti.
Infatti, il coefficiente dell’1,5 costituisce un vincolo inaccettabile che toglie ai più poveri, riconoscendo a chi ha già poco ancora meno di quanto gli spetti.
Facendo un esempio concreto, prima dell’intervento dell’esecutivo, un cosiddetto ‘lavoratore contributivo puro’, a 67 anni e con almeno 20 anni di contributi versati, pur avendo diritto, ad esempio, ad una pensione di vecchiaia di oltre 700 euro si sarebbe dovuto accontentare, fino a 71 anni, di prendere i 500 e poco più euro dell’assegno sociale per smettere di lavorare. Una situazione paradossale e che, come purtroppo accade spesso, colpisce chi in realtà ha più bisogno.
Con il Governo Meloni, invece, si parla e si agisce nel nome dell’equità sociale, stringendo leggermente le maglie per andare in pensione in maniera anticipata. Una stretta che però appare necessaria così da riconoscere il diritto alla pensione di vecchiaia a tutti i lavoratori del sistema contributivo.
A proposito di tale intervento, nella conferenza stampa di presentazione della Manovra 2024, il Presidente Giorgia Meloni ha dichiarato: “Sulle pensioni interveniamo su alcune situazioni di squilibrio. Abbiamo cominciato a dare un segnale sulle pensioni delle quali, diciamo così, non si è mai occupato nessuno. Avendo sempre i governi dato la priorità, ovviamente, a chi era in pensione, si è continuato a lavorare soprattutto su chi era prevalentemente nel sistema retributivo, ritenendo che chi è completamente nel contributivo, cioè i futuri pensionati, potesse essere un problema da rinviare, del quale poi qualcuno si sarebbe occupato. Il problema è che questo sta creando e crea degli squilibri e delle disparità che sono obiettivamente dal nostro punto di vista sbagliate; per cui, ad esempio, una misura che abbiamo introdotto è quella di eliminare il vincolo che prevede che chi è nel contributivo possa andare in pensione una volta raggiunta l’età prevista solo se ha raggiunto un importo pensionistico pari a 1,5 volte la pensione sociale. Ciò significa che se l’importo di una pensione, che è frutto di contributi e che quindi è del pensionato, è inferiore a 1,5 volte la pensione sociale, io non ho diritto più ad andare in pensione quando l’età me lo consente, ma posso andare in pensione soltanto oltre i 70 anni. Secondo noi questa misura non è una misura corretta e abbiamo rimosso questo vincolo”.
Il diritto alla pensione è un diritto sacrosanto, perché connesso, inevitabilmente, a quello di trascorrere una vecchiaia serena dopo una vita di lavoro. È questo un tema senza dubbio poco affrontato dai governi precedenti, ma che grazie all’azione del Governo Meloni è divenuto centrale e ha acquisito finalmente quei caratteri di giustizia, equità e correttezza che gli spettano, con uno sguardo più accorto anche e soprattutto nei confronti dei lavoratori più giovani.