“L’Italia registra un’anomalia che non ha eguali in nessuna delle grandi democrazie occidentali. Negli ultimi dieci anni il nostro Paese ha avuto sei diversi presidenti del Consiglio e sette governi”.
Potrebbe sembrare un virgolettato estrapolato da un comizio di Giorgia Meloni, invece, è incredibilmente estratto dal programma elettorale del Pd. Sì, proprio quel Pd che ha partecipato a tutti i governi tecnici degli ultimi dieci anni, governi figli di giochi di palazzo, nati sulla testa degli italiani e in spregio alla volontà popolare.
Insomma, a parlare è il principale artefice e protagonista di quell’anomalia che oggi va stranamente denunciando. Il paradosso, il primo di una lunga serie, è servito. Sì perché qualche riga più tardi viene citata la “pessima legge elettorale”, il Rosatellum, che il Pd vorrebbe cambiare con una riforma elettorale di cui non è ancora in grado di spiegare la natura. Al di là della vaghezza della soluzione offerta, anche stavolta, Letta e compagni si cimentano in un clamoroso autogol. Ci ricordiamo tutti che l’attuale sistema elettorale è farina del sacco dem, giusto? Non a caso porta il nome di Ettore Rosato, all’epoca parlamentare del Pd. Lo sdoppiamento di personalità sopraggiunto in campagna elettorale è quantomeno sospetto.
Per un pugno di collegi, sessanta in tutto gli uninominali in bilico, sembra che i dem siano pronti a rinnegare persino sé stessi. Ripetutamente. Nelle “grandi democrazie occidentali” prese a modello dal programma di Letta, il presidenzialismo si è dimostrato la miglior risposta all’instabilità politica. Guardiamo alla Francia, che la sinistra italiana considera spesso un punto di riferimento: negli ultimi vent’anni ha avuto quattro capi di governo. L’Italia? Nello stesso arco di tempo ha visto avvicendarsi ben undici presidenti del Consiglio. Tutto ciò finisce inevitabilmente col renderci poco credibili agli occhi del mondo, e non aiuta di certo l’economia. E allora perché di una riforma che ci avvicini alla grandeur francese Letta non vuole saperne? Forse perché a proporla è Giorgia Meloni? “Una legislatura che si imbarca in uno scontro di civiltà su un cambio di Costituzione è l’ultima cosa di cui abbiamo bisogno”, ha recentemente ribadito il segretario dem ai taccuini di Annalisa Cuzzocrea de La Stampa.
Con buona pace della Francia, dove ha vissuto e insegnato, e dell’amico Macron, un Letta mandato in cortocircuito dalla competizione va dicendo che il presidenzialismo sarebbe un “modo populista di dire ai cittadini: guardate le cose non vanno bene, datemi tutti i poteri”. Riecco comparire l’ammuina dei “pieni poteri” con cui da qualche anno a questa parte la sinistra cerca di squalificare gli avversari. Ma quindi anche l’inquilino dell’Eliseo sarebbe un pericoloso e dispotico reazionario? Pensare che, nel 2018, proprio ad inizio legislatura, il Pd ha presentato due proposte di legge per introdurre il presidenzialismo anche da noi. Una delle due, come è emerso da un dossier de La Verità, è pure a prima firma dell’illustre costituzionalista Stefano Ceccanti. Queste anomalie, per usare una parola che piace ai dem, non si ritrovano in Fratelli d’Italia.
È del giugno dello stesso anno la proposta di legge a prima firma Giorgia Meloni per l’elezione diretta del presidente della Repubblica. Lo ha ricordato lei stessa negli studi di Bruno Vespa: “Ho portato in aula il semipresidenzialismo alla francese perché era la proposta preferita della sinistra, anche perché, quando ci fu la bicamerale, ricordo D’Alema, che ne era a capo, dire che il semipresidenzialismo alla francese è la soluzione migliore”. Come andò a finire lo sappiamo tutti, la sinistra votò un emendamento soppressivo della norma.
Adesso la Meloni è determinata a portare a casa il risultato, e la riforma dello Stato in senso presidenzialista è uno dei punti forti del programma di Fdi. “È la madre di tutte le riforme, in Italia se vuoi riuscire veramente a fare una riforma della burocrazia, una riforma della giustizia, e tutto quello che non si è riuscito a fare, c’è bisogno di una politica che abbia tempo per fare le cose e che abbia la maggioranza per fare le cose”, ha spiegato la leader di Fdi nel suo intervento da Vespa. Non una riforma da imporre a colpi di maggioranza, come va raccontando qualcuno in malafede. L’apertura al dialogo è massima. La bicamerale potrebbe essere una soluzione. “Propongo di aprire un dibattito, però sia chiaro che le riforme le voglio fare”. Come? “Vorrei farle insieme a tutti, perché il tema costituzionale è un tema serio, però non è che mi faccio impantanare dai giochetti della sinistra”. È la chiosa della leader di Fdi. Chissà se Letta&Co ritroveranno il senno dopo le urne.