A chi ancora pensava che il “cattivo” fosse Donald Trump, questa volta toccherà ricredersi. Perché a tradire gli impegni presi è stato Vladimir Putin, che continua in maniera indefessa a dire una cosa e a farne un’altra. E lo ha fatto nonostante le garanzie offerte direttamente dal Presidente degli Stati Uniti, figura che – piaccia o no – resta la figura più influente sulla scena globale.
Ed è così che il conflitto russo-ucraino ha ripreso a pieno ritmo, nonostante la tregua di 30 giorni concordata lo scorso 18 marzo. A farla saltare sono stati, ancora una volta, nuovi attacchi ordinati da Mosca. Una scelta che ignora volutamente l’evidenza: questa guerra non giova a nessuno. Non porta vittorie, ma solo nuove sofferenze e un inutile dispendio di importanti risorse.
Ma, probabilmente, in questo caso Putin ha in qualche modo studiato le sue mosse, seppur perseguendo una politica decisamente miope. E analizzando un po’ meglio il contesto che in questi ultimi giorni si è venuto a delineare, la risposta a questa nuova alzata di testa russa appare abbastanza intuibile.
Dall’inizio di aprile – coinciso simbolicamente con il Liberation Day – i media di tutto il mondo si sono concentrati sulle nuove politiche commerciali statunitensi. Il protagonismo di Trump, che punta a ridefinire i rapporti con la Cina, ha di fatto escluso la Russia dai tavoli che contano. E di conseguenza Putin ha reagito come chi, sapendo di non essere più protagonista, sceglie il clamore della violenza per farsi notare, piuttosto che razionalizzare le proprie mosse.
La Russia è infatti ormai fuori dalla partita che davvero conta – quella economica e commerciale- e così Putin ha scelto di rientrare in scena nel peggiore dei modi, tornando a parlare con il linguaggio della forza.
Così facendo, però, drammaticamente, la mossa putiniana non sortirà affatto l’effetto sperato. Ma, con molta probabilità, rischia di ritorcersi contro Mosca stessa. Il tycoon del resto non è contento di ciò che sta accadendo nel quadrante est-europeo, e lo ha dichiarato a gran voce, sottolineando che: “Vorrei che Putin si fermasse. Non mi piacciono i bombardamenti. Ogni settimana migliaia di persone, soprattutto giovani, vengono uccisi.” Una dichiarazione netta che dimostra quanto poco spazio ci sia, oggi, per chi agisce fuori dalle regole della comunità internazionale e che evidenzia come il 47° Presidente americano non sia asservito alle volontà russe, ma è anzi ben intenzionato a ristabilire un equilibrio al confine russo-ucraino. Perché del resto sa bene che la guerra- e in particolare questa guerra- non potrà che indebolire gli Usa, e di conseguenza il resto dell’Occidente- sottraendo importanti risorse che invece potrebbero essere impiegate altrove. Ma per garantire la libertà del popolo ucraino- e quindi salvaguardare anche il pilastro stesso della democrazia- non può fare altrimenti.
Ecco dunque che Putin, sfoggiando solo mere armi militari, si è dimenticato, ancora una volta, che la via per risolvere i conflitti nel 2025 non può e non deve essere quella della forza. Ma quella del dialogo e della diplomazia.
È questo un modo di vedere le cose lungimirante che è stato colto sin da subito l’Italia, che non solo in Ucraina, ma in tutte le questioni di rilevanza internazionale, ha adottato la via del pragmatismo e della lucidità. Scegliendo di perseguire una politica estera fondata sul dialogo, evitando reazioni impulsive e cercando sempre un punto d’incontro tra le parti. Una strategia che privilegia la diplomazia alla forza, il confronto agli ultimatum. E che rappresenta oggi un vero e proprio modello a cui guardare.
Se anche Putin si renderà conto di tutto questo, e capirà che la brutalità non è più una risposta, ma solo un sintomo di debolezza, allora forse potremo davvero guardare al futuro con maggiore speranza. Ma se continuerà su questa strada, nessuna mano tesa da parte dell’Occidente potrà bastare.