Come al solito, un marea di polemiche si eleva quando, da destra, succede qualcosa di non gradito al mondo Lgbt. È quello che è accaduto negli ultimi giorni, quando Francesco Rocca ha deciso di ritirare il patrocinio della Regione Lazio al Pride di Roma 2023. Fratoianni parla di “fatto inaudito, fuori dalla realtà”, per Zan è “una schizofrenia di odio e discriminazione”: polemiche del tutto inutili se si pensa che la scelta del governatore è del tutto legittima, data la valenza (volutamente tenuta celata) politica della manifestazione, e non discriminante: non concedere il patrocinio vuol dire non condividere i temi dell’evento, ma non certo vietarlo.
Per capire meglio quanto detto finora, basta leggere il documento politico dell’evento, denominato “Queeresistenza”, che, condito di numerose schwa, contiene le richieste della comunità Lgbt in tema di diritti civili che spaziano in vari ambiti: istruzione, famiglia, maternità, società, educazione. “Vogliamo festeggiare finalmente – si legge – l’approvazione di una legge sulla piena autodeterminazione delle persone trans, che prenda a modello quelle più avanzate esistenti nel mondo”: il riferimento è al selfid, con cui per cambiare genere basterebbe soltanto identificarsi in quello nuovo, e alla carriera alias, che permetterebbe l’utilizzo di un nome diverso da quello ufficiale senza ripercussioni legali. È utile, tuttavia, sottolineare la pesante discriminazione che questa politica comporterebbe per chi, retrogrado, continuerebbe a identificarsi nell’odierno sistema: ad esempio, sempre più spesso arrivano notizie di atleti d’Oltralpe o anche d’oltreoceano che, da maschi, si sono identificati come donne, gareggiando così nelle categorie femminili e sbaragliando le avversarie per via della naturalmente diversa conformazione fisica. A farne quindi le spese sarebbero proprio le donne, e non è un caso che numerose femministe si battano a ragione – in uno dei consueti cortocircuiti a sinistra – contro questa proposta. Le altre richieste della comunità Lgbt, poi, vanno oltre il solo campo della discriminazione: minano anche – cosa ormai nota – la famiglia tradizionale, propongono l’educazione sessuale nelle scuole per i bambini e richiedono “una legge che introduca e disciplini anche in Italia una gestazione per altri”; la maternità surrogata, per intenderci, oggi reato e creatrice, nel resto del mondo, di immorali speculazioni.
Insomma, quello che dovrebbe apparire, secondo qualche lettura fantasiosa, un manifesto della libertà – e ben venga, se così realmente fosse – è soltanto un vero e proprio atto politico, che include al suo interno discriminazioni, strumentalizzazione e propaganda sui bambini, sovversione dell’attuale Stato e riferimenti a pratiche che sono moralmente non condivisibili per ovvie ragioni. E allora, ecco che la scelta di Rocca viene ad essere più che legittima in un contesto di normale disaccordo politico e non certamente di misconoscimento dell’altrui orientamento sessuale. Chi urla alla lesione delle libertà a causa del ritiro del patrocinio dovrebbe in realtà concedere un dibattito più ampio su certi temi, arrivando a comprendere che – come in ogni buon ambiente democratico – può avere la parola anche chi è in disaccordo: disapprovare la maternità surrogata, l’adozione alle coppie gay, il selfid, non vuol dire discriminare o non tutelare le diversità.