Quei soldi finiti nelle casse di Al Shabab alimenteranno il terrorismo. Servono nuove regole per ONG.

Si può comprendere che il Presidente del Consiglio non fornisca in pubblico particolari sulla liberazione di Silvia Romano, dal momento che essa coinvolge l’attività dei nostri Servizi: egli però non può fare a meno di riferirne a quell’articolazione del Parlamento – il Copasir -, che esiste proprio per costituire l’interfaccia fra Camera, Senato e Governo, con tutte le garanzie di riservatezza. E’ per questo che Fratelli d’Italia ne ha chiesto l’audizione nei tempi più rapidi.

Anche i media più autorevoli danno per scontato che per far tornare a casa Silvia il Governo abbia pagato un riscatto, e che esso sia finito nelle casse di al-Shabab, appartenente al network di al-Queda; si tratta, per intenderci, gli autori della strage di Garissa del 2 aprile 2015, allorché oltre 150 giovani universitari furono uccisi uno per uno dopo la prova di recitazione del Corano: fu tagliata la testa di chi non lo sapeva recitare. C’è chi ha sostenuto che è stato meglio che quel denaro sia servito per la liberazione di Silvia piuttosto che per comprare armi (così Jasmine Cristallo, delle Sardine): in realtà, liberando Silvia, quel denaro servirà ad al-Shabab ad acquistare più armi, a compiere più attentati, e a organizzare nuovi sequestri di persona e di navi nel mare di Somalia. L’audizione al Copasir del Presidente Consiglio deve vertere anche su questi aspetti, cioè sulla descrizione dei soggetti che hanno ricevuto il riscatto, e dovrà chiarire il ruolo avuto dalla Turchia e dei suoi Servizi, in termini di prezzo pagato dall’Italia su questo versante di intermediazione.

Ma il cuore della questione è un altro: ed è se sia giusto che uno Stato democratico ceda al ricatto del terrorismo. Ricordo che, dopo anni di sequestri di persona a scopo di estorsione – oltre 450 fra il 1970 e il 1990 -, consumati soprattutto in Calabria, in Sardegna e in Lombardia, la svolta e l’azzeramento del fenomeno vi furono quando la legge numero 82 del 1991 stabilì: a) l’obbligo del «sequestro del beni appartenenti alla persona sequestrata, al coniuge, e ai parenti e affini conviventi»; b) la facoltà del blocco dei beni nei confronti di «altre persone» se vi fosse stato il «fondato motivo di ritenere che tali beni» potessero essere utilizzati «direttamente o indirettamente, per far conseguire agli autori del delitto il prezzo della liberazione della vittima». Il periodo seguito a tali norme è stato drammatico, con i familiari del sequestrato che protestavano perché venivano privati della possibilità di fare uso dei propri beni: è stata però la carta vincente. Per quale ragione se il sequestro avviene all’estero questa logica non vale più, e anzi viene utilizzato denaro che non è del sequestrato o della sua famiglia, ma dello Stato? Presenteremo una proposta di legge nella direzione del blocco per il futuro di qualsiasi pagamento di riscatto, se il rapimento è avvenuto all’estero, in modo che, in analogia a quanto avvenuto per i rapimenti di 40 anni fa in Italia, chi li organizza sia consapevole che non otterrà nulla, e si regoli di conseguenza.

Non ha senso oggi infierire – come avvenuto da parte di taluni sui social – su una ragazza giovane e provata, le cui scelte nei 18 mesi di prigionia sono state verosimilmente forzate. Ma per la onlus per la quale ella era presente nella zona del rapimento (“Africa Milele onlus”) il discorso è diverso. Oggi sul Corriere della sera Gianfranco Cattai, presidente di Focsiv, federazione di 87 onlus di cooperazione e volontariato internazionale, ha affermato che “nessuna delle nostre associazioni avrebbe fatto partire una ragazza sola e per giunta diretta in un Paese con tensioni interne come il Kenia”. Sarebbe giusto: a) che il governo italiano almeno in parte si rivalga per l’importo versato a titolo di riscatto sulla onlus in questione, gravemente responsabile della esposizione a rischio di Silvia Romano; b) che ogni presenza di volontariato in zone a rischio sia accompagnata d’ora in avanti a carico della onlus che la organizza dalla sottoscrizione di una polizza assicurativa. La proposta di legge che sarebbe utile presentare.

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