Il 9 maggio 2023 il Presidente del Consiglio, Giorgia Meloni, ha partecipato al confronto con le opposizioni sulle riforme istituzionali alla Camera dei Deputati, nella Biblioteca del Presidente. Hanno partecipato agli incontri i Vice Presidenti del Consiglio, Matteo Salvini e Antonio Tajani, il ministro per le Riforme istituzionali e la semplificazione normativa, Maria Elisabetta Alberti Casellati; il ministro per i Rapporti con il Parlamento, Luca Ciriani, i sottosegretari alla Presidenza del Consiglio, Alfredo Mantovano e Giovanbattista Fazzolari, e il costituzionalista Francesco Saverio Marini.
Al termine della lunga giornata il premier ha rilasciato le dichiarazioni alla stampa, affermando che “la giornata di dialogo è stata proficua, molto interessante.”
Giorgia Meloni ha ribadito come la priorità del governo sia quella di “riformare le istituzioni della Repubblica, sostanzialmente per garantire degli obiettivi che sono per noi irrinunciabili.”
Tali obiettivi riguardano la stabilità dei governi e delle legislature e il rispetto del voto dei cittadini nelle urne.
Precisamente per questo motivo si è deciso di avviare l’interlocuzione con le forze di opposizione, per capire se vi fosse convergenza su questi obiettivi e conseguentemente capire quale potesse essere il sistema maggiormente condiviso dalle parti. Per questo il governo ha volutamente deciso di non proporre alcuna soluzione preconfezionata, in modo da rendere il momento del dialogo il più “aperto, franco e collaborativo”, come si è rilevato essere. Il Governo intende quindi accogliere tutte le valutazioni per formulare una proposta adeguata, fermo restando l’impegno preso con i cittadini, che è quello di consentire il rispetto delle loro indicazioni di voto e di consentire che la nostra sia una democrazia matura nella quale i governi non cambiano dopo un anno e mezzo.
La riforma istituzionale intende modificare un sistema che, ad oggi, non è più adeguato a garantire stabilità all’Italia. Infatti, come dimostrano i fatti, negli ultimi vent’anni circa abbiamo assistito ad una situazione di crescente instabilità politica italiana, che “ha prodotto la nostra debolezza economica, per cui non abbiamo una strategia su moltissime cose, e ha prodotto problemi di credibilità all’estero.”
La riforma si potrà muovere su tre diversi scenari:
–Sistema presidenziale: ossia presidenzialismo in senso stretto, con elezione diretta del Presidente della Repubblica, che figurerebbe anche come Capo del Governo;
–Sistema semi-presidenziale: ossia il modello francese, con elezione diretta del Presidente della Repubblica che nomina il Capo del Governo;
–Premierato: elezione diretta del Presidente del Consiglio. In questo caso, il Parlamento manterrebbe tra le sue prerogative l’elezione del Presidente della Repubblica, che continuerebbe ad avere un ruolo di personalità super-partes e di contrappeso.
Le posizioni emerse dal confronto con le opposizioni sono state piuttosto variegate.
Per quanto riguarda il Partito Democratico, che si è dichiarato contrario ad ogni forma di presidenzialismo o premierato, la Segretaria Schlein ha affermato che “Abbiamo posto la necessità di limitare la decretazione d’urgenza, è un passaggio necessario per far lavorare meglio Camera e Senato. Abbiamo posto il tema del rafforzamento degli istituti referendari e delle leggi di iniziativa popolare, abbadando il quorum, firmando anche attraverso il digitale. Abbiamo posto il tema dell’applicazione piena dell’articolo 49, e una legge sul conflitto di interessi. Abbiamo chiesto al governo una moratoria sull’autonomia differenziata che sta procedendo scavalcando il Parlamento e i territori.”
Anche il Movimento 5 Stelle si è espresso in maniera contraria rispetto all’elezione diretta del Presidente della Repubblica o del Presidente del Consiglio, e, al termine dell’incontro, Giuseppe Conte ha detto: “Abbiamo condiviso una diagnosi su alcune criticità, riconosciamo queste criticità a partire dal problema dell’instabilità degli esecutivi, è un problema che dovremo risolvere come quella garantire al Parlamento, ma non è emersa una condivisione. Abbiamo portato sul tavolo nel concreto 11 proposte specifiche per evitare, tra l’altro, cambi di casacca” e “promuovere il rafforzamento dei referendum propositivi. Abbiamo invitato il governo a non procedere a colpi di maggioranza”.
Il Terzo Polo ha riconosciuto l’esigenza di garantire una maggiore stabilità ai governi, e per quanto concerne la forma di governo ha detto di essere contrario al presidenzialismo, inteso come elezione diretta del Capo dello Stato, ma favorevole al premierato, ossia all’elezione diretta del Presidente del Consiglio. A tal proposito Carlo Calenda ha dichiarato: “L’obiettivo per noi è ribadire quello che abbiamo già detto in campagna elettorale: poteri del premier rafforzati, l’indicazione del premier, la possibilità per il premier di scegliersi i ministri e revocarli. Ma, a parte questo, mantenere intatti il potere e le prerogative del presidente della Repubblica. Perché il presidente della Repubblica è garante dell’unità nazionale in un paese di guelfi e ghibellini. Fare una discussione approfondita e seria sulla questione federalismo e autonomia. Che si discuta su tutto l’assetto dello Stato senza fare una fuga in avanti sull’autonomia. Il sindaco d’Italia è una delle soluzioni. Il succo è questo. Abbiamo bisogno di un premier con più poteri, una camera sola, una discussione su tutto ciò che funziona e non funziona del federalismo, e del presidente della Repubblica che rimane garante della Costituzione e dell’unità nazionale”.
Stando a quanto dichiarato da Giorgia Meloni non solo in questa giornata, ma in molte altre occasioni, la priorità rimane quella di rispettare il mandato dei cittadini, i quali sono i principali destinatari delle riforme. Proprio i cittadini, secondo un sondaggio realizzato da Euromedia Research e pubblicato da Porta a Porta, hanno espresso la propria opinione in merito a queste riforme: il 46,6% degli intervistati è favorevole al presidenzialismo (36,8% è contrario) e il 42% condivide la via del premierato (32.4% contrari).
Il dialogo e l’ascolto sono due degli elementi su cui di è concentrata sin da subito la politica del Governo Meloni: sindacati, professionisti, investitori, imprenditori, Regioni, opposizioni. Tutti sono stati coinvolti nei processi che li riguardavano in maniera più o meno diretta, perché, sebbene non condividendo alcune scelte, hanno saputo comunque portare suggerimenti, proposte ed idee costruttive. L’apertura dimostrata dal Governo in tema di riforme istituzionali e costituzionali è ancora più significativa e sottolinea la volontà della maggioranza di operare nella maniera più possibile condivisa, priva di pregiudizi e ostilità.
Riformare le istituzioni di questa Nazione appare necessario perché ora più che mai è forte l’esigenza di garantire stabilità ad un Paese che per troppo tempo ha vissuto nell’incertezza: economica, politica, sociale. È ora di pensare ad una progettualità strutturata e a lungo termine, occorre avere una strategia seria e matura. A prescindere da ciò che la riforma prevederà, l’obiettivo rimarrà quello di iniziare a costruire delle fondamenta più solide, con delle istituzioni più capaci ed attente ai bisogni dei cittadini. Tutti impegni di cui la maggioranza si è presa carico lo scorso settembre 2022 e che sta mantenendo adottando scelte adeguate e ponderate su tutti i fronti strategici per l’Italia.
Il sistema italiano oltre che ad essere ormai decotto crea parecchi problemi non ultimo quello della duplicazione delle camere e ridondanza nelle istituzioni
Io (mantenendo farei 2 camere: la prima (camera dei deputati) da 400 eletti e l’altra (Senato delle Regioni) da 200 nominati
Nel Senato delle Regioni ogni regione nomina 10 senatori, 6 scelti dalla maggioranza e 4 dalla minoranza, quando decade un Consiglio Regionale i senatori nominati da quella regione decadono e ne vengono nominati altri 10 dal nuovo Consiglio Regionale.
Così facendo la conferenza Stato-Regioni non ha più senso e viene abolita ma si consente alle minoranze locali di avere una forte rappresentanza a livello nazionale.
Il Senato ha diritto di essere consultato per l’ordinaria amministrazione ma ha solamente potere consultivo per l’emanazione delle leggi correnti, ha potere legislativo invece per le leggi “importanti” quindi i senatori normalmente non fanno parte delle commissioni.
I deputati invece sono eletti direttamente dai cittadini i quali hanno diritto di esprimere 2 preferenze (un uomo e una donna) scelti su un’unica lista nazionale (che eventualmente verrà frazionata nei vari collegi per questione di praticità); il deputato essendo essendo stato scelto direttamente dai cittadini ha il diritto di cambiare gruppo parlamentare (riducendo quindi l’ingerenza del Partito sul singolo).
La coalizione che supera il 40% nomina il premier (che deve essere dichiarato prima della votazione) e ottiene un bonus del 10% dei parlamentari (40); la coalizione che non raggiunge il 5% non ha diritto ad alcun parlamentare.
Le coalizioni che hanno superato il 5% si dividono quindi il 90% dei parlamentari (360) in proporzione dei voti ottenuti.
Nel caso in cui nessuna coalizione raggiunga il 40% si procederà ad un secondo turno di ballottaggio fra le prime due coalizioni, la vincitrice otterra 51% dei parlamentari (220) mentre il restante 49% (180) verrà suddiviso in proporzione fra tutti gli altri che nella prima votazione hanno superato il 5%
I premier nomina i ministri e rimane in carica per 5 anni, nel caso in cui il premier venga sfiduciato si procede a nuove elezioni.
Per quanto riguarda il Capo dello Stato continua ad essere eletto come adesso ma perde il diritto di nominare il Capo del Consiglio dei Ministri (Premier) ma essendo il garante conserva il diritto di approvare qualsiasi legge; per quanto riguarda i decreti io metterei l’opzione del silenzio assenso, quindi un decreto del Consiglio dei Ministri entra in vigore solamente se entro 10 gg non c’è parere negativo da parte del Capo dello Stato (o prima in caso di parere favorevole); ovviamente come adesso i Decreti debbono essere convertiti in Leggi entro un certo lasso di tempo