La premier Giorgia Meloni per prima e tutte le forze politiche che sostengono il suo Governo intendono avviare al più presto un processo riformatore, finalizzato ad ammodernare le Istituzioni repubblicane e ad aumentarne l’efficienza.
È del tutto normale che ciò accada perché il partito del Presidente del Consiglio parla di riforme istituzionali da sempre ed ha inserito il tema anche nel programma stilato in occasione dell’ultima campagna elettorale.
A destra ci si batteva per una nuova Repubblica già negli anni Settanta-Ottanta e sarebbe semmai discutibile se oggi Fratelli d’Italia si dimenticasse di occuparsi di presidenzialismo e della necessità in Italia di una democrazia maggiormente diretta e stabile.
Anche Forza Italia e il suo presidente Silvio Berlusconi si sono sempre rivelati sensibili al bisogno di attribuire più autorevolezza al potere esecutivo, che deve senz’altro rispondere a dei precisi contrappesi, ma non può neppure essere ricattato ogni giorno da personalismi vendicativi e da conventicole varie. La Lega, storicamente più attenta alla questione delle autonomie locali, non ha mai disdegnato la sintesi fra il federalismo e un potere centrale eletto dal popolo e in quanto tale, solido e in condizione di realizzare i propri obiettivi.
Quindi, si sta semplicemente mantenendo fede alle promesse fatte in campagna elettorale, e lo si sta facendo con un alto senso dello Stato. Infatti, Giorgia Meloni si è voluta consultare con tutte le opposizioni per sondare anzitutto le loro idee in merito alle riforme istituzionali da fare in Italia e per verificare l’esistenza o meno di condizioni favorevoli ad un lavoro comune fra maggioranza e minoranza, visto che il funzionamento delle Istituzioni, anzi, il buon funzionamento delle stesse, riguarda tutto l’arco politico e non solo la destra o la sinistra.
Le consultazioni volute dalla premier hanno registrato un’apertura da parte di Carlo Calenda e di Matteo Renzi, per quanto riguarda una possibile collaborazione con il Governo sul fronte delle riforme, ma hanno fatto emergere nel contempo una sostanziale chiusura del Partito Democratico di Elly Schlein e del Movimento 5 Stelle di Giuseppe Conte. Sia la segretaria del Pd che il leader pentastellato, incontrandosi con la premier Meloni e altri rappresentanti del Governo, si sono detti entrambi indisponibili a ragionare non solo sulla elezione diretta del Presidente della Repubblica, quindi sul presidenzialismo, (si può discutere poi se esso debba essere più simile a quello americano o a quello francese), ma anche sulla elezione popolare del Presidente del Consiglio, perciò sul premierato.
Ma se viene rifiutato a priori il concetto di democrazia diretta e non si vuole attribuire al potere esecutivo, che sia un premier con poteri più ampi o un Capo di Stato con prerogative simili a quelle dei presidenti americano e francese, una legittimazione popolare, non si capisce allora come possa essere riformata questa vecchia Repubblica parlamentare e tanto vale lasciare tutto com’è.
La Schlein in particolare è parsa vivere in un pianeta tutto suo. Conversando con Giorgia Meloni, la leader piddina ha affermato di avere altre priorità come sanità, scuola, Pnrr e l’immancabile clima. Intanto, una cosa non esclude l’altra ed è possibile occuparsi di più questioni contemporaneamente, ma soprattutto, le consultazioni del 9 maggio scorso erano incentrate solo sulle riforme istituzionali e soltanto in merito a ciò occorreva confrontarsi, e per discutere di sanità o di scuola vi sono e vi saranno altre occasioni e altri luoghi. Se si è interessati solamente allo sci non si entra in uno stadio ad assistere ad una partita di calcio, bensì ci si reca laddove vengono svolte le gare sciistiche.
In ogni caso, dire che riformare e ammodernare le Istituzioni repubblicane non rappresenti una urgenza, significa non aver capito nulla di tutto ciò che è successo durante la cosiddetta Seconda Repubblica e anche in anni recenti.
Oppure, essere in malafede e sembra che Conte e Schlein si siano intestati la parte dei finti tonti. L’Italia è alle prese con l’instabilità politica da almeno trent’anni e troppi sono stati sia i governi che hanno dovuto chiudere anzitempo i battenti, non riuscendo a realizzare quanto prefissato, che quelli nati da operazioni di Palazzo, non rispondenti al volere degli elettori. I partiti, anche quelli di modeste dimensioni, hanno avuto eccessive capacità di ricatto e di condizionamento nei confronti dei presidenti del Consiglio.
La situazione è tanto grave quanto semplice da spiegare: se un qualsivoglia partito di maggioranza decide ad un dato momento di sfilarsi dal governo di cui fa parte, quest’ultimo cade come una pera cotta e il premier in carica non può fare altro che rassegnare le proprie dimissioni. L’Italia ha oggi un governo finalmente politico e voluto dagli italiani, sorretto da forze politiche responsabili e consapevoli della posta in gioco, ma l’assetto parlamentarista italiano non mette al riparo da possibili incidenti neppure il Governo Meloni.
Elly Schlein non vede l’urgenza di riformare le Istituzioni, ma ci sarà un motivo se si discute di nuova Repubblica dai tempi di Giorgio Almirante, Bettino Craxi e Renato Altissimo. Chi scrive è un fan del presidenzialismo puro all’americana, ma ci si può confrontare su più possibilità, dal semipresidenzialismo francese al premierato e fino a trasferire a livello nazionale le regole usate per l’elezione diretta di governatori regionali e sindaci, che funzionano egregiamente. L’importante è che il responsabile del potere esecutivo goda di un ampio mandato concessogli o concessole dagli elettori e possa portare a termine il proprio incarico senza imboscate.
La stabilità di governo serve a tutto e a tutti. A tutto perché chi ha l’onore e l’onere di governare può lavorare a 360 gradi sulle principali esigenze della Nazione, anche e soprattutto circa quei temi citati dalla Schlein, e impostare progetti a medio e lungo termine, cosa proibitiva invece per governi balneari o a rischio di defezioni improvvise. A tutti perché se una determinata architettura istituzionale funziona, ne beneficia chiunque entri nella stanza dei bottoni, indipendentemente dalla provenienza politica di destra o di sinistra.
Considerata la ritrosia di Pd e M5S, esternata peraltro persino prima delle consultazioni con Giorgia Meloni, il Governo fa bene a dire di voler andare avanti anche da solo o con chi ci sta, (se Calenda e Renzi vorranno contribuire, saranno senz’altro i benvenuti), perché non si può indugiare oltre.