Gli operatori sanitari sono la nostra risorsa più preziosa per combattere la pandemia di Coronavirus, ma sono anche le fasce più a rischio e vulnerabili. Durante l’epidemia di Coronavirus SARS nel 2003, il 20 percento delle persone infette a livello globale (1.701) erano operatori sanitari.
Quello che si sta verificato in Italia in questo ultimo mese è un vero e proprio campanello d’allarme ancora inascoltato: stando alle cifre “ufficiali” abbiamo un numero di infettati tra il personale medico ed infermieristico più alto rispetto alla Cina. In tutta la prima fase del manifestarsi dell’epidemia ci siamo concentrati sull’età come fattore di rischio per COVID-19, ma il rischio maggiore era quello di essere un operatore sanitario, di qualsiasi età.Secondo i dati diffusi dall’Istituto superiore di sanità (Iss), in Italia dall’inizio dell’epidemia sono 6.205 i professionisti sanitari che hanno contratto un’infezione da coronavirus, pari al 9% del totale delle persone contagiate, una percentuale più che doppia rispetto a quella della coorte cinese dello studio pubblicato su Jama (3,8%). Lo afferma uno studio della Fondazione Gimbe secondo cui “a giudicare dalle innumerevoli narrative e dalla mancata esecuzione dei tamponi a tutti i professionisti e gli operatori sanitari, il numero ufficiale fornito dall’Iss è ampiamente sottostimato”.
In Italia un contagiato su dieci è un sanitario, i medici morti sono già 41.La fondazione Gimbe chiede di estendere l’esecuzione dei tamponi a tutti i professionisti ed operatori sanitari e invita l’Istituto Superiore di Sanità a modificare e integrare le linee guida nazionali per garantire la massima protezione di chi è impegnato in prima linea contro l’emergenza Coronavirus. Anche nelle migliori circostanze, e queste non lo sono, il personale medico sarebbe a rischio. In qualsiasi pronto soccorso i medici devono agire velocemente per salvare i pazienti: intubare, ventilare e rianimare. Il tempo è essenziale e pochi medici lasceranno morire il paziente per mancanza di una maschera N95. Ancora negli ospedali mancano le mascherine e occhiali speciali anti infezioni. Oggi gli operatori sanitari corrono grandi rischi per diversi motivi. Il personale medico è esposto a più particelle virali rispetto al grande pubblico.
Ciò significa che è più probabile che si infetti e sia più probabile che abbia casi peggiori quando lo fa, il che potrebbe essere il motivo per cui così tanti giovani medici cinesi sono morti. In Cina non abbiamo nemmeno numeri precisi sul numero di operatori sanitari infetti o uccisi. Probabilmente infatti la Cina non ha mai pubblicato le stime esatte, così come non ha mai pubblicato un conteggio accurato del numero totale di persone morte per COVID-19. (Se sei morto senza essere testato per COVID, dice Pechino, non sei morto di COVID.) E se gli Ospedali del Nord sono comunque ben riforniti di tutto il necessario materiale di sicurezza, sembra proprio che nel resto d’Italia gli ospedali non siano affatto pronti a gestire eventuali focolai. Le attrezzature di protezione scarseggiano Ed infine una combinazione di stress e lunghe ore di lavoro rende i sistemi immunitari degli operatori sanitari più vulnerabili del normale.
Questa combinazione trasforma gli ospedali nei nuovi principali vettori della trasmissione di Coronavirus.La conseguenza infatti si estende ben oltre il personale medico infettato. Ogni operatore sanitario che si ammala per COVID-19 riduce la capacità del sistema sanitario che si prende cura dei pazienti, e non solo dei pazienti affetti da Coronavirus.Purtroppo infatti il Coronavirus non ha certo inibito le altre malattie come gli arresti cardiaci, le malattie croniche o quelle oncologiche. Rifornire tutti gli ospedali italiani di tutto il materiale di sicurezza necessario per permettere ai sanitari di proteggersi (almeno parzialmente) dal Coronavirus dovrebbe essere una nostra priorità, sia per ragioni umanitarie sia per ragioni pragmatiche.