E’ giovedì 13 settembre 2019. Un dipendente della centrale idroelettrica BKW di Prevale, in provincia di Brescia, sta compiendo il suo solito giro di controllo della struttura. E’ quasi mezzogiorno, siamo vicini all’ora di pranzo e l’operaio già pregusta la fine del turno quando, incastrato nelle grate della vasca dei rifiuti del canale idrico che alimenta l’impianto e scorre parallelo al fiume Chiese, nota qualcosa che non dovrebbe esserci. All’inizio gli appare come un grosso fagotto informe ma, a mano a mano che si avvicina e la prospettiva cambia, quello che l’operaio si trova davanti gli fa drizzare i capelli in testa per l’orrore.
Lui non lo sa, ma il cadavere incastrato nella grata dei rifiuti è quello di Jessica Mantovani, 37enne, problemi di cocaina, nessun lavoro, nessun legame sentimentale stabile, ma comunque una famiglia che la ama, sparita la sera prima. Dai primi rilievi effettuati sul posto, gli inquirenti ipotizzano la morte per suicidio, supponendo che la poveretta si sia lanciata in acqua per poi essere trascinata dalla corrente nel punto in cui è stata ritrovata. Potrebbe anche essere stato un incidente, con la donna che magari sotto l’effetto della droga che pure ha assunto in discreta ma non letale quantità, come diranno le analisi, scivola dalla sponda, e urta la testa non riuscendo a riguadagnare la riva. Ma in questo caso, che c’era andata a fare di notte in quel posto Jessica?
Intanto, il cadavere è in posizione fetale, con le gambe e le braccia ad abbracciare un cuscino, strana posizione per una suicida e ancor di più nel caso di incidente. All’inizio, nemmeno è facile identificarla la povera Jessica: minuta com’è la prendono per una ragazza asiatica, ma alla fine, seguendo anche le denunce di scomparsa, si arriva a lei, Jessica Mantovani, della Valsabbia, originaria di Gavardo ma residente a Villanuova sul Clisi (Brescia), comune posto a una decina di chilometri più a nord di Prevalle.
Dopo il ritrovamento e il riconoscimento, trascorrono i giorni con il papà di Jessica che non si da pace. Racconta della dipendenza dalla droga della giovane donna, l’unico vero problema che la figlia avesse dato, visto che per il resto era sempre stata una brava ragazza, una studentessa discreta, una figlia amorevole. Il padre tra l’altro proprio non ci sta che la morte di Jessica possa essere imputabile a un suicidio o a un incidente. “Me l’hanno ammazzata”, ripete come con un mantra, anche se la profonda ferita trovata sul capo della giovane e probabile causa della morte, potrebbe essere imputata a una semplice caduta. Il corpo però presenta anche graffi e lividi, che all’inizio gli inquirenti attribuiscono al trascinamento della corrente nel bacino idrico.
Insomma, in prima istanza tutto è possibile: incidente, suicidio, omicidio. Gli inquirenti investigano a 365 gradi, e arrivano anche ad indagare un amico della vittima, l’uomo che la sera della scomparsa l’ha vista per ultimo. Il 51enne Giancarlo Bresciani, originario di Privale, anche lui con precedenti per droga è l’uomo presso il cui domicilio la sera della scomparsa il padre di Jessica era andato a riprendere la ragazza dopo una telefonata di lei, e dove non l’aveva trovata. “E’ già andata via da un po’ ”, aveva detto Bresciani al genitore preoccupato, A seguire, viene anche indagato Marco Zocca, 23enne, altro amico di Jessica anche lui frequentatore di casa Bresciani, e con problemi di droga.
Oggi, a distanza di tre mesi dalla morte della giovane donna, il consulente medico di parte, il professor Andrea Gentilomo, nella sua relazione, scrive: “La frattura del naso, la lacerazione delle labbra sono state provocate da percosse; analoga spiegazione può avere la frattura delle costole”. Secondo le ricostruzioni mediche, prima di morire la donna aveva assunto cocaina, “un dosaggio discretamente elevato, ma non letale”, e sarebbe stata colpita “con calci e pugni e trascinata ancora viva nel corso d’acqua”. Grande la disperazione di Giovanni, il padre di Jessica quando commenta: “Avrei potuto salvare mia figlia. Mi aveva chiamato alle 20, 30 da casa di quell’uomo chiedendomi di andare a prenderla, ma ero occupato e le risposi che sarei arrivato da lì a un’ora. Fossi andato subito, forse oggi lei sarebbe ancora qui, con me e sua madre.”
Adesso a Giovanni non resta che sperare che le indagini si concludano in fretta e in maniera definitiva, per assicurare alla giustizia i colpevoli della morte della ragazza.