Il risultato delle elezioni europee non lascia scampo a interpretazioni diverse: gli italiani, a cui fanno seguito gli europei, hanno detto no alle derive green, a quelle woke, alle ideologie della sinistra. A quell’idea malsana che le frontiere non esistono e possono essere valicate senza sosta e senza alcuna regola. Lasciare inascoltate le esigenze dei popoli, le richieste di sicurezza di quei cittadini che vedono i loro quartieri invasi dalla criminalità e dalle violenze degli immigrati, anche di seconda e di terza generazione, mal integrati con la nostra società occidentale. Mal integrati in alcuni casi per rifiuto totale della nuova civiltà in cui sono approdati, ma per la maggior parte delle volte perché impossibile prevedere una corretta integrazione (che comprende un posto di lavoro, una formazione, una dimora fissa) per tante persone.
Un’Europa che rema contro
Il tema dell’immigrazione ha influito su una grandissima fetta dell’elettorato, che ha ben compreso l’ingerenza comunitaria sulle politiche di sicurezza del singolo Stato membro. Lo ha ben spiegato Giorgia Meloni in un’intervista al Tg5 prima del voto dell’8 e del 9 giugno: “C’è differenza tra un’Unione europea che ti rema contro e un’Unione europea che ti dà una mano”. L’Unione europea regola la nostra vita ed è più vicina di quanto ci possa sembrare. Per questo, con un’Europa schierata radicalmente a sinistra, come quella degli ultimi quaranta anni, è stato difficile provvedere a difendere i confini nazionali dai flussi migratori. I socialismi europei che hanno governato si sono piegati con piacere alle logiche speculative di cooperative, di Ong, alle logiche no-border insomma, rendendosi complici, chissà quanto indirettamente, dei business criminali degli scafisti del nord-Africa. Una situazione a cui la Commissione ha cercato di porre rimedio negli ultimi anni, con la volontà di costituzione di nuovi centri per i rimpatri (volontà ignorata dalla sinistra italiana) e dichiarando guerra ai contrabbandieri di esseri umani. Una situazione alla quale il Governo Meloni ha cercato di mettere un argine trascinando con sé la Commissione europea, che sembra aver recepito le istanze italiane. Un nuovo approccio basato sulla cooperazione che ha portato l’Italia a essere promotrice degli accordi stipulati tra Unione europea e i Paesi del nord-Africa, che hanno garantito un calo dei flussi migratori nel Mediterraneo centrale del 40% in un anno.
Un errore tutt’altro che irrilevante
È ovvio che la formazione di una nuova coalizione di centrosinistra a Bruxelles tra socialisti, liberal e popolari – com’è, a quanto pare, nelle intenzione del presidente uscente Ursula von der Leyen – sarebbe uno schiaffo alle richieste dei popoli europei espresse dietro le urne: vogliamo più destra, vogliamo difendere confini e cultura. In Italia il dato è evidente, così come quello del resto dell’Europa: i popolari del Ppe (ascrivibili comunque a un centro che guarda con più piacere al conservatorismo che al socialismo) sono cresciuti, i conservatori dell’Ecr anche e così pure i sovranisti di Id. Dall’altra parte, i socialisti sono calati, i liberal macroniani pure e allo stesso modo i verdi. Ci sono i numeri per formare sia un’alleanza di destra che una di sinistra. Ma, come detto, la differenza è che con il formarsi di una coalizione a base socialista rimarrebbe ancora inascoltata quella volontà dei popoli europei di virare a destra. Volontà che, in parte, anche alcuni partiti di sinistra hanno inteso rappresentare: in Danimarca i socialisti propendono per la linea dura lungo le frontiere e allo stesso modo in Germania dal partito Die Linke, quello di estrema sinistra, si è staccato il nuovo BSW che, pur rimanendo di sinistra, afferma la volontà di contrastare l’immigrazione illegale. In altre parole, l’immigrazione è una delle tematiche più influenti di questo voto europeo e lasciarla al di fuori della strategia della prossima Commissione sarebbe un errore politico tutt’altro che irrilevante.