Volete davvero essere schiavi degli algoritmi?

Ci sono due parole che dovete stamparvi in testa a caratteri cubitali: sovranità digitale. Argomento che, ovviamente, sui media del mainstream trova meno spazio di questioni fondamentali come le forbite disquisizioni tra Federico Lucia (detto Fedez) e Luis Sal (lui si chiama davvero così), le equilibrate dichiarazioni di Oliviero Toscani e l’illuminante inchiesta sulla correlazione tra fascismo e ritenzione idrica nell’era dell’intersezionalità (questa in realtà non l’hanno ancora fatta, ma è solo questione di tempo).

Comprensibile, d’altra parte la Sovranità digitale non è che il macro-tema che comprende futilità come la proprietà dei dati e la privacy di miliardi di persone; il potere abnorme acquisito dalle GAFAM (acronimo di Google, Apple, Facebook, Amazon e Microsoft, ndr) in termini economici, di capacità di controllo delle masse e di condizionamento di interi mercati; lo sviluppo e la gestione di sistemi di intelligenza artificiale. Ergo, gli strumenti utilizzati per manipolare miliardi di persone, condizionare il sistema dell’informazione e influenzare istituzioni nazionali e sovranazionali.  Bazzecole, insomma.

Oltretutto, i sopracitati giganti del web adoperano gli algoritmi delle loro piattaforme per orientare il dibattito pubblico favorendo i disvalori dell’ideologia woke e censurando buona parte delle opinioni e delle notizie favorevoli a chi si discosta dalla narrazione del politicamente corretto. Ciò avviene anche con ChatGPT, intelligenza artificiale generativa addestrata fornire risposte a senso unico e scevre da personaggi e temi scomodi. Ché, poi, è la stessa linea portata avanti dalla medesima grancassa mediatica che ignora il tema della Sovranità digitale, ma sarà sicuramente un caso.

Un contesto che dovrebbe farci tremare le vene dei polsi e che invece ci lascia totalmente indifferenti perché, in fondo, come canta Jovanotti in “La frontiera”, ognuno di noi è perfettamente consapevole di essere censurato e controllato «eppure non mi sono mai sentito così libero.»

In questo senso la scena globale è sostanzialmente caratterizzata da due tipi di approccio: quello di dittature come la Cina comunista, che gestisce direttamente gli algoritmi per alimentare il giogo a cui sottopone i propri cittadini attraverso l’utilizzo di tecnologie come  riconoscimento facciale e Social credit, ma anche per controllare e manipolare noi occidentali a casa nostra grazie ad app altamente diffuse come TikTok, che per essere utilizzate richiedono di fornire a Pechino l’accesso a praticamente tutti i dati presenti sul nostro smartphone.

Il secondo approccio, quello occidentale, ci riguarda ancora più da vicino ed è caratterizzato da un vuoto legislativo che solo negli ultimi anni si sta tentando di colmare. Risultato: la gestione del giogo è saldamente nelle mani delle GAFAM che – oltre al danno la beffa – in termini percentuali pagano meno tasse di un qualsiasi comune mortale.

Alle nostre latitudini, l’eccezione è senza alcun dubbio rappresentata da Elon Musk, che ha investito la cifra monstre di 44 miliardi di dollari per acquistare Twitter e provare a ribaltare il paradigma esistente, che si basa sul bombardare gli utenti con milioni di contenuti (perlopiù di scarsissima qualità) al fine di tenerli connessi più tempo possibile e rivendere la loro attenzione a chi paga le cosiddette “sponsorizzate”. Sistema che si autoalimenta di continuo poiché ogni azione che compiamo online consente alle piattaforme di conoscerci meglio e, quindi, sottoporci messaggi sempre più mirati, anche per assuefarci ai dettami del pensiero unico. Risultato: se è gratis la merce siamo noi.

Con l’introduzione dei profili a pagamento, Musk intende liberare Twitter dalla dipendenza dalla pubblicità e, quindi, offrire agli utenti un’esperienza migliore e libera da condizionamenti. Ovvio che in quest’ottica risulti decisiva la battaglia contro la dittatura del politicamente corretto, poiché l’orientamento politico di stampo radical chic è il vero e proprio collante che ha consentito al sistema di crescere fino a questo punto: motivo per cui, nel mio ultimo libro, ho deciso di pubblicare integralmente i Twitter Files, ovvero i documenti resi pubblici nei mesi scorsi da Musk che dimostrano con chiarezza cristallina come e quanto le piattaforme web lavorino per favorire una parte politica (i democratici) e sfavorirne un’altra (i conservatori) utilizzando i mezzi più disparati come: censurare notizie (vedi lo scandalo riguardante Hunter Biden nel 2020) o applicare dei filtri (shadow ban) ai profili scomodi in modo da penalizzare i loro post impedendo che entrino tra i top trend.

Attualmente, il governo guidato da Giorgia Meloni è con ogni probabilità il più sensibile al tema della Sovranità digitale, come peraltro dimostrano il recente incontro tra il presidente del consiglio e Musk e il lavoro portato avanti dal sottosegretario con delega all’Innovazione Alessio Butti: la strada da fare è parecchia, ma dobbiamo percorrerla con la massima determinazione se non vogliamo condannare i nostri figli a un futuro da “utenti da batteria” alla mercè di multinazionali prive di scrupoli.

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Alessandro Nardone
Alessandro Nardone
Consulente di marketing digitale, docente alla IATH Academy, è autore di 9 libri. È stato inviato di Vanity Fair alle elezioni USA dopo aver fatto il giro del mondo come Alex Anderson, il candidato fake alle presidenziali americane del 2016.

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