Le Primavere Arabe e la conseguente affermazione dei gruppi estremisti islamici hanno riacceso il mai del tutto spento fuoco delle persecuzioni e della diaspora dei Cristiani dal Medio Oriente.
Secondo dati rilasciati dalla Catholic Near East Welfare Association, un’agenzia voluta da Papa Pio XI nel 1926, dedita a dare sostegno pastorale e umanitario, che opera specificamente in aree con alto tasso di povertà e afflitte da guerra, nel 2017 erano 14.525.880 i cristiani che vivevano tra Cipro, Egitto, Iraq, Israele, Giordania, Libano, Cisgiordania, Gaza, Siria, Turchia.
Il rapporto della CNEWA, che tiene conto tra gli altri dei dati e delle informazioni raccolte nell’Annuario pontificio della Santa Sede, nel “World fact book” della CIA, nei rapporti delle Nazioni Unire, ci dice che le guerre di Iraq e Siria e la nascita dello Stato Islamico “hanno frantumato le culture e i Paesi che costituiscono la culla stessa del cristianesimo costringendo i fedeli di Gesù a emigrare all’estero o a vivere da sfollati nelle nazioni vicine”.
Nel video si vedono i soldati cristiani siriani del Syriac Military Council entrare per la prima volta in una chiesa dentro Raqqa, dopo la sua liberazione dallo Stato islamico. Entrambi hanno combattuto in prima linea, al fronte, accompagnando il giornalista Marco Gombacci nel settembre del 2017.
Gombacci, triestino, è analista e fondatore di The European Post, collaboratore per Il Giornale e Occhi della Guerra, senior fellow Centre for Eurasian Studies. Si è recato tre volte in Iraq e due in Siria, riuscendo ad entrare nella cittadina cristiana di Qaraqosh (Nord dell’Iraq) una settimana dopo la liberazione dallo Stato islamico (ottobre 2016) ed è entrato a Raqqa (Siria) con le truppe cristiane quando la capitale del Califfato era ancora parzialmente in mano alle bandiere nere. A maggio è tornato in Siria sul fronte di Dei Ezzor.
Lo abbiamo contattato per discutere con lui dei temi che sono al centro delle sue inchieste e della sua vita da inviato di guerra.
I Cristiani hanno vissuto per secoli in Medio Oriente, con lunghi periodi di pace e convivenza armoniosa, dalla Palestina alla Siria per passare dal Libano. Com’è cambiata la vita dei Cristiani in Medio Oriente dopo le Primavere arabe e le guerre in Iraq e Siria?
L’estremismo islamico che ha avuto tra i suoi sbocchi naturali i movimenti terroristici, come Al-Qaeda e il DAESH, ha dato un durissimo colpo alle comunità cristiane in Medio Oriente. Dopo il massacro, il genocidio (come dichiarato anche dal parlamento UE e dalle Nazioni Unite), ora vi è un nuovo orgoglio nell’essere cristiani in Medio Oriente. Giovani, soldati e ragazze hanno tatuati i simboli del Cristianesimo. Croci, rosari, facce di Gesù Cristo impresse per sempre sul loro corpo. Poco importa che possa essere un simbolo di appartenenza forte in certi ambienti. Loro hanno riscoperto le loro radici, sono orgogliosi della loro identità e questo comporta anche il rispetto dei membri delle altre comunità mussulmane, sia sunnite che sciite ed è questo quello che li farà continuare a vivere nella loro terra. Da protagonisti e non da ospiti.
Nell’Occidente in cui tutti trovano uno spazio per rivendicare i propri diritti, la voce dei Cristiani, perseguitati, uccisi, cacciati sembra non riuscire a suscitare alcun interesse. Perché i Cristiani sono soli a combattere la propria battaglia per il diritto ad esistere?
Non è mai stata riconosciuta come un tema unitario. Anzi. Il tema veniva trattato con una certa superficialità per evitare di essere etichettati. Vi era una certa diffidenza, specie all’estero, quando si parlava della persecuzione dei Cristiani. Era visto come un argomento di nicchia, che poco aveva a che fare con i “grandi temi” trattati a livello europeo. Era vista come battaglia identitaria di una certa parte politica, invece era una battaglia che riguardava tutti noi, tutti noi europei in primis. Mi riempie d’orgoglio che questo tabù sia stato rotto da alcuni giornalisti italiani (triestini come me), come Fausto Biloslavo e Gian Micalessin.
L’Europa e più in generale la cultura occidentale affondano le proprie radici nella cultura romana e nel cristianesimo. Eppure oggi si tende sempre più a negare queste radici e ad attaccare la Chiesa, aprendo invece le porte a nuovi valori, a nuove culture e religioni, spesso molto aggressive come l’Islam. Cosa ritieni scateni questo continuo rinnegamento delle proprie origini e della propria storia?
Quando Valery Giscard d’Estaing si rifiutò di aprire la missiva in cui Papa Wojtyla chiedeva l’inserimento delle radici cristiane in quella che sarebbe dovuta divenire la Costituzione europea, avremmo dovuto capire già da allora in che direzione si stava muovendo l’Unione Europea: un’Europa senza anima, senza radici comuni, senza sentimenti, una grigia tecnocrazia e una burocrazia imperante. Quando sento parlare di rifondare l’Unione Europea, penso che dovremmo proprio partire da là, dirci orgogliosamente cristiani. E non averne paura o timore! Riscoprire la nostra storia, la nostra cultura è fondamentale. Non possiamo dimenticare l’importanza che ha avuto la scuola di Atene, la democrazia romana, Carlo Magno, Sant’Agostino, gli artisti e i pittori del Rinascimento che, con tanto amore, hanno creato tanta bellezza e cultura. Non dobbiamo vergognarcene. Non dobbiamo nascondere i nostri crocifissi o rosari per non offendere un qualcuno che è di una religione differente. Come i cristiani del Medio Oriente dobbiamo riscoprire la nostra identità, dopo un momento difficile ed esserne orgogliosi. Da qui deve ripartire l’Europa che, altrimenti, è destinata meramente a discutere del cambio dell’ora legale o delle misure di austerity da imporre a uno Stato o all’altro!