Due mari. Il sole e l’acciaio. Una fabbrica contesa e dal futuro più che mai incerto. Questa è la situazione della più grande acciaieria d’Europa e della città di Taranto. Ma facciamo un passo indietro. Ieri a Palazzo Chigi si è tenuto il confronto tra il Governo, rappresentato dal ministro dell’Economia Giancarlo Giorgetti, il ministro degli Affari europei e del Pnrr Raffaele Fitto, delle Imprese e del Made in Italy Adolfo Urso, del Lavoro Elvira Calderone, il Sottosegretario alla Presidenza del Consiglio Alfredo Mantovano, Invitalia, con l’amministratore delegato Bernardo Mattarella, e Arcelor Mittal, azionista di maggioranza dell’ex Ilva di Taranto.
Sul tavolo la proposta rivolta ai vertici dell’azienda di sottoscrivere un aumento del capitale sociale pari a 320 milioni di euro, tale da aumentare al 66% la partecipazione di Invitalia, l’azionista pubblico, portare Mittal in minoranza e chiudere il bilancio del 2023. In seguito, investire un altro miliardo di euro e progettare i successivi investimenti per rilanciare una produzione oramai scesa a 3 milioni di tonnellate, rispetto ai 6 milioni previsti dall’accordo suggellato da Giuseppe Conte nel 2020. Un tentativo per garantire investimenti, livelli di produzione, sicurezza dei lavoratori e tutela ambientale, assicurando così la continuità produttiva. Ma il colosso dell’acciaio franco-indiano, nella persona di Aditya Mittal, il figlio del patron giunto a Roma per incontrare il Governo, ha rispedito al mittente ogni proposta comunicando la propria indisponibilità a nuovi investimenti. Inoltre, l’indisponibilità di Mittal ad accogliere l’investimento pubblico di 320 milioni, necessari nell’immediato a garantire la continuità produttiva, crea uno stallo angosciante per i lavoratori dell’impianto, circa diecimila, quelli dell’indotto e per l’avvenire della siderurgia in Italia. Lo scenario peggiore, l’amministrazione straordinaria e un mostruoso ed infinito contenzioso legale con gli indiani.
Lo sviluppo della città di Taranto, già minacciato in queste ore dall’ ennesima crisi politica che si sta consumando tutta a sinistra, è ulteriormente aggravato da questa nuova crisi del siderurgico. Quale sarà il futuro della città che venne scelta come capitale industriale del Sud? Infatti, sin dall’Ottocento, Taranto ha ospitato alcuni tra gli asset più strategici per la Nazione tutta, come la Marina Militare, l’arsenale navale, il porto mercantile, la raffineria, che da sempre hanno garantito una identità industriale e manifatturiera alla città dei due mari. Tuttavia, come ricorda Paolo Bricco sul “Sole 24 ore” di oggi “mentre il resto dell’Italia sperimenta il boom economico, Taranto è una città industriale che vive una crisi industriale e che, nell’industria, trova una ipotesi di nuova prosperità”, profilando il germe di una crisi che si è protratta fino ai nostri giorni.
Subito dopo l’incontro tra Governo e Mittal e la comunicazione del suo esito da parte di Palazzo Chigi, è scoppiata la bagarre politica con l’opposizione che attacca il Governo e Fratelli d’Italia. A difendere il lavoro del Governo è l’Onorevole Dario Iaia, coordinatore provinciale di Fratelli d’Italia a Taranto: “I veri responsabili dell’attuale catastrofe ex Ilva, così come i lavoratori ed i tarantini sanno bene, oltre alla sinistra ed al Pd sono il M5S ed il senatore Mario Turco in particolare, i quali pur di raccattare qualche voto, hanno prima giocato una partita contro lo stabilimento siderurgico proponendone la chiusura e raccogliendo così consensi nelle elezioni politiche del 2018, per poi nel 2019 cancellare lo scudo penale. Si è fatta venire meno in quel momento, una garanzia prevista negli accordi stipulati con il socio privato salvo poi, con le pive nel sacco, concludere dei patti para sociali assolutamente capestro per lo Stato, liberando anche Mittal dall’obbligo di riassunzione dei 1700 lavoratori di Ilva in As e condannandoli all’oblio ed infine, costringendo alla non bancabilità Acciaierie d’Italia, così come chiarito dallo stesso Presidente Bernabè. Il finto ambientalismo piegato agli interessi elettorali e la guerra contro la siderurgia tarantina hanno prodotto il disastro al quale il governo Meloni sta cercando di porre rimedio, con tutte le difficoltà conseguenti alle scelte scellerate assunte in questi anni. Ha perfettamente inquadrato la questione lo stesso Carlo Calenda che, poco fa, ha rimarcato come il Governo Meloni non abbia alcuna responsabilità sulla crisi di ex-Ilva ma la colpa sia tutta dell’abolizione scudo penale, voluta appunto da Conte per sostenere i compagni di partito bocciati alle elezioni europee. Sono stati loro a regalare senza regole e vincoli la nostra acciaieria nazionale al socio indiano e sono stati loro i primi creduloni o peggio ancora, consapevoli e corresponsabili del fatto che mai avrebbe adempiuto alle promesse di acciaio green. Eppure, coloro che quattro anni fa votarono per l’abolizione dello scudo penale hanno ancora il coraggio di parlare e addirittura d’impartire lezioni a chi, oggi, si trova a dover gestire con grandissima difficoltà e prevedibile pressione socioeconomica questa situazione. Dovrebbero solo chiedere scusa a Taranto e all’Italia”.
Nel frattempo, il Governo ha convocato per la giornata di giovedì i sindacati metalmeccanici e nella stessa giornata è prevista una informativa del ministro Urso al Senato. Attendiamo fiduciosi quello che sarà il futuro della siderurgia in Italia e della città di Taranto.