Tremonti su crisi mediorientale: mancanza di statualità, globalizzazione e ambiguità dell’Europa

Come spiegare la situazione in Medio Oriente? Un quesito a cui ci si aggrappa da decenni, oramai. E che ancora oggi, o forse soprattutto oggi, non ha ricevuto alcuna risposta univoca e universalmente accettata. Perché la situazione tra Israele e Palestina, e tra i rispettivi popoli, va ben oltre il mero elenco di episodi che si sono avuti in questi anni.

Di conseguenza, è ancora più difficile spiegare le cause che sono alla base dello scoppio del conflitto sulla striscia di Gaza, che dagli inizi di ottobre ha raggiunto un nuovo terribile livello.

A provare a fornire alcune risposte, c’è Giulio Tremonti, autorevole professore accademico e oggi Presidente della Commissione esteri della Camera, che in una lunga intervista pubblicata il 18 ottobre da Il Sole 24 Ore, fornisce interessanti spunti di riflessione per comprendere le origini della crisi mediorientale.

“È la conseguenza di una serie di fatti concatenati che hanno portato alla distruzione di alcuni Stati. Solo 30 anni fa non era immaginabile cosa sarebbe accaduto, e cosa sta accadendo oggi. Solo guardando al passato riusciamo a vedere avanti”, spiega in apertura.

Rispetto al passato, relativamente all’andamento dei rapporti internazionali, il professore chiarisce che: “Ora questi schemi sono rotti, soprattutto dal dispiegarsi della globalizzazione avviata al principio di questo millennio. Questa si è diffusa su due diverse onde- prosegue- in Asia finora senza problema, in Medio Oriente con enormi problemi che derivano dalla struttura stessa della globalizzazione che mette il mercato sopra il pubblico. In paesi dove il pubblico è tradizione, religione e tanto altro, non necessariamente coincide con il mercato. Ed è questo che genera la catena degli errori e degli orrori che abbiamo visto in questi anni.”

Tremonti analizza anche gli eventi centrali che hanno determinato “la struttura e la velocità del mondo in cui viviamo”.

In particolare, la caduta del muro di Berlino nel 1989 e la firma nel 1994 dell’accordo sul Wto a Marrakech (che sancì la nascita dell’Organizzazione Mondiale del Commercio, entrando in vigore dal 1º gennaio 1995). Dopo questi eventi “il mondo non sarebbe stato e non è come prima”, dice l’onorevole di Fdi.

C’è poi il 2001. Anno fondamentale, che dà inizio ad una serie di eventi cruciali.
L’11 settembre con l’attacco alle Torri Gemelle, gli Stati Uniti entrano in una nuova fase della loro storia, e così il mondo intero. Gli Usa occupano dapprima l’Afghanistan, poi l’Iraq.
Il terrorismo prosegue e si diffonde: nel 2004 a Madrid e nel 2005 a Londra. Continuano nel 2015 e nel 2016, prevalentemente in Francia (Bataclan, Charlie Hebdo).

Il tempo passa e la questione palestinese viene quasi del tutto archiviata.
Si arriva così al 2020 e agli Accordi di Abramo, con i quali si normalizzano le relazioni tra Israele ed Emirati Arabi Uniti, allargando anche a Bahrein e Marocco, e in prospettiva anche con l’Arabia Saudita. “Ma sono accordi con monarchie assolute, che coinvolgono una quota limitata di popolazione, anche se ricca”, sottolinea Tremonti. “Taglia fuori tutto il resto del mondo arabo e musulmano-illustra il professore- Si può dire che è un’intesa con il nucleo più tradizionale, ma anche più proiettato al futuro, che studia come gestire la fine dell’era del petrolio.”

Ed ecco che l’attacco del 7 ottobre “sembra svilupparsi come una reazione dell’altra parte”.

In tutto questo quadro complesso, ricco di sovrapposizioni e di confluenze esterne, appare evidente che il ruolo dell’Europa è stato contraddittorio. Ed è un paradosso. Le cui conseguenze, oggi, dolorosamente, si stanno vedendo e sentendo in maniera forte e violenta.

Nel corso della storia, però, un unico dato è rimasto invariato, ovvero la statualità, che è “mancata fino a qui”, come conferma Tremonti, che aggiunge: “Gli accordi di Oslo del 1993 sono tra capi di Stato, questo riporta al centro le istituzioni di governo e un mondo statuale appunto di gestire consenso, dissenso, minoranze, diritti, sviluppo, società”.

La crisi di Gaza è dunque un vero e proprio fallimento internazionale, forse il più grande del periodo 2001-2023. E ha tre possibili cause interconnesse tra loro: la mancanza di statualità in Medio Oriente, la globalizzazione e l’ambiguità dell’Europa.
Oggi su questi grandi temi non si può di certo agire in maniera retroattiva, ma solamente per il futuro.
In latino c’è un detto che recita: “Historia magistra vitae”. Sarebbe d’ora in avanti necessario tenerlo a mente e imparare dagli errori commessi per evitarne di altri. Ancora più gravi.

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