La Turchia è pronta a trasformare un’altra storica chiesa bizantina in una moschea. Si tratta della chiesa di San Salvatore in Chora, situata nella parte nord-occidentale della città di Istanbul, che da decenni era stata adibita a museo per i suoi affreschi dalla importante rilevanza artistica. La chiesa, infatti, che in greco viene chiamata “chiesa del Santo Salvatore fuori città” (En the Chora vuol dire appunto “in campagna”), ospita al suo interno, tra le altre cose, anche opere d’arte e mosaici, tra cui l’incarnazione di Cristo, che vengono considerati tra gli esempi più importanti dell’arte bizantina. Furono restaurati sul finire della Seconda Guerra Mondiale da un team di archeologi, dopo che, con la conquista ottomana dell’allora Costantinopoli, la chiesa venne già convertita in moschea e gli affreschi vennero ricoperti da strati di calce.
Erdogan come gli ottomani
Ora, proprio come avvenne nel 1511, il leader turco Recep Tayyip Erdogan ha deciso di riconvertire la chiesa, attualmente come detto un museo, in moschea, in quella che appunto viene definita la “Moschea di Kariye”. Una scelta che risale già a qualche anno fa: già nel 2020, infatti, il presidente della Turchia aveva confermato la decisione del Consiglio di Stato con cui veniva annullato lo status di museo della chiesa di San Salvatore, che appunto dal 1958 era adibita all’esposizione delle sue opere d’arte. A rincarare la dose è stato lo stesso presidente Erdogan che, addirittura durante la conferenza stampa con il suo omologo Kyriakos Mitsotakis, presidente di un Paese, la Grecia, con il quale – è risaputo – storicamente non scorre buon sangue, ha annunciato la nuova conversione in moschea della chiesa di San Salvatore, mettendo in evidente imbarazzo, fregandosene della diplomazia, il suo collega ateniese. “La moschea di Kariye è pronta alla riapertura nella sua nuova veste. Sarà una moschea e sarà aperta a tutti” ha detto Erdogan, lasciando perplesso Mitsotakis, che si è detto infine “insoddisfatto”.
Furia islamista e iconoclasta
Non è d’altronde il primo caso del genere: già nel 2020 la storica basilica di Santa Sofia, patrimonio dell’Unesco e con una storia analoga a quella della chiesa di San Salvatore (nata come chiesa bizantina, convertita in moschea dagli ottomani nel 1453, anno della caduta dell’Impero romano d’Oriente, e infine divenuta museo) era stata riconvertita in moschea da Erdogan e da quello che dovrebbe essere l’islam “moderato”, “istituzionale”, che legandosi al potere politico dovrebbe quantomeno rispettare il generale concetto di laicità, soprattutto in un Paese come la Turchia che confina con il mondo occidentale, con il quale intrattiene fitti rapporti di cooperazione, mirando inoltre a entrare a far parte addirittura dell’Unione europea. L’islamismo e la sua furia sono tuttavia più forti della volontà, almeno espressa, di voler riappacificare i rapporti tra Turchia e Occidente e specialmente con la confinante Grecia, come pure dichiarato all’inizio della conferenza stampa da Erdogan: “Abbattere i muri che ci dividono e far trionfare la pace tra Grecia e Turchia”, aveva detto, salvo poi lasciarsi andare all’islamismo militante, che vuole sopraffare e avere la meglio sulle altre culture. Ora il rischio è che le opere d’arte della chiesa di San Salvatore in Chora vengano distrutte, che quindi la furia islamista incontri quella iconoclasta, come già accaduto una decina di anni fa in Siria, dove i miliziani dello Stato islamico dell’ISIS abbattevano interi templi di epoca romana e basiliche cristiane. Le fonti turche dicono che gli affreschi in questione verranno soltanto coperti da alcuni tappeti ad hoc ritagliati su misura, e che quindi le opere d’arte non verranno distrutte. Resta comunque l’apprensione, derivante dal fatto di non sapere mai che cosa aspettarsi da una cultura, quella islamica, che nelle sue forme più estremiste (purtroppo le più comuni soprattutto in Medio Oriente) dichiara ogni giorno guerra alla nostra civiltà.