I recenti sviluppi del conflitto libico – dal tentativo fallito da parte di Haftar di conquistare Tripoli, alla conquista della base di Al-Watiya da parte delle milizie del Governo di Accordo Nazionale, fino alla massiccia avanzata delle truppe di Tripoli verso Sirte – impongono una riflessione su Khalifa Haftar e le sue effettive capacità di comandante militare.
In meno di un mese di combattimenti le forze del GNA, con il sostegno turco e il supporto dei jihadisti veterani della guerra in Siria trasportati in Libia da Ankara, sono riuscite a riprendere il controllo di Tripoli. Ha, inoltre, un importante valore simbolico, la volontà di stabilire la linea del fronte a Sirte, verso cui marciano le truppe del Governo di Accordo Nazionale, senza alcuna intenzione di fermarsi. Anche per Haftar la conquista di Sirte nel gennaio scorso aveva avuto un alto valore simbolico, essendo essa la città natale di Muammar Gheddafi, un tempo “maestro spirituale” e successivamente nemico numero uno del generale Haftar.
Nel frattempo il governo di Fayez al Sarraj ha respinto senza riserve la Dichiarazione del Cairo del 6 giugno sottoscritta dal presidente della Camera dei rappresentanti di Tobruk, Aguila Saleh, e dal generale Khalifa Haftar, per porre fine alla crisi e imporre un cessate il fuoco dall’8 giugno. Il ministro dell’Interno del GNA, Fathi Bashagha, ha infatti chiarito che le trattative non potranno avere inizio fino a quando non sarà stata completata la conquista di Sirte e della base aerea di Al-Jufra.
E’ evidente che oramai la ruota a cominciato a girare e Haftar è sempre più in difficoltà, al punto che potrebbe diventare estremamente difficile per lui mantenere il controllo dei territori sinora occupati. Parlare di “ridispiegamento” delle proprie unità sul campo, come sta facendo l’Esercito Nazionale Libico (LNA) in questi giorni, sembra una formula volta a tenere alto il morale degli uomini, senza ammettere la sconfitta. Rispetto alla conferenza di Berlino, tenutasi pochi mesi fa, la posizione di Haftar sembra in questo momento seriamente compromessa. Resta tuttavia un interrogativo: cos’è successo davvero? Perché Haftar, che sembrava avere la vittoria in pugno, appare oggi con poche vie di scampo? Forse la risposta va cercata proprio nelle sue doti, vere o presunte, di comandante militare e, a tal fine, può essere utile ricordare che il generale, nel corso della sua carriera, non è mai riuscito a vincere una guerra.
Proviamo allora a ripercorrere la sua storia.
Dalla rivoluzione del ’69 alla sconfitta in Ciad
Haftar si diploma presso la Royal Military Academy of Libya nel 1966. Dopo il golpe del 1969 e il rovesciamento di Re Muhammad Idris al-Sanusi, Haftar diventa uno dei più stretti collaboratori di Gheddafi (da lui definito suo “padre spirituale”). Dal 1971 al 1973 Haftar è in Egitto per studiare l’organizzazione militare del Paese. Tornato in Patria con il grado di capitano, la sua carriera spicca il volo: già nel 1973 è al comando di un piccolo contingente libico nella guerra scatenata da Egitto e Siria contro Israele (Guerra del Kippur). Pur non partecipando direttamente ai combattimenti, Haftar rafforza, con questa esperienza, la propria credibilità negli ambienti militari. Poco dopo assume il ruolo di Capo di Stato Maggiore della forze armate della Giamahiria Libica.
Nel 1978 scoppia il conflitto tra Ciad e Libia, protrattosi fino al 1987 e segnato da 4 incursioni dell’esercito libico nel territorio ciadiano (1978, 1979, 1980-81 e 1983-87): la Libia rivendica il controllo della Striscia di Aouzou (una stretta striscia di terra al confine tra Ciad e Libia lunga circa 100 km passata dall’Italia alla Francia durante il periodo coloniale).
Di questo conflitto Khalifa Haftar è una figura chiave: Gheddafi, infatti lo nomina comandante della spedizione e delle forze armate dell’area orientale. Haftar guida le campagne libiche al confine con il Ciad in diversi intervalli di tempo dal 1978 al 1981 e poi di nuovo nel 1987. Proprio nel 1987 il dispiegamento di forze messo in campo dalla Libia appare impressionante: oltre 8.000 uomini, 300 carri armati, numerosi MLR (lanciarazzi multipli) e pezzi di artiglieria, elicotteri MI-24 e circa 60 aerei da combattimento. I libici erano, inoltre, equipaggiati con carri armati T-55, veicoli da combattimento per la fanteria motorizzata BMP-1, MIG-23 e moderni sistemi di difesa aerea.
Le forze disponibili furono divise in due gruppi: la task force Sud e la task force Est. Nonostante la schiacciante superiorità in termini di equipaggiamento, però, a causa di una serie di errori imputabili ai comandanti e, in particolare, ad Haftar, i libici subirono varie sconfitte: evidente risultò la disorganizzazione delle forze di terra, così come la debolezza nella pianificazione a lungo termine dell’offensiva.
Da parte sua il Ciad non disponeva all’epoca di aviazione militare e di veicoli corazzati e poteva contare solo su pochi cannoni anticarro e antiaerei. Per ovviare a queste carenze i ciadiani utilizzarono tecniche di guerriglia, colpendo gli avversari ai fianchi con proiettili ad alta profondità e riuscendo sistematicamente ad accerchiare le truppe di Haftar con veicoli da combattimento improvvisati. Le unità guerrigliere si rivelarono alla fine più efficaci di un esercito libico ben armato, ma dotato di una pessima guida.
In qualità di comandante del Corpo di Spedizione, Haftar dimostrò di essere inadeguato sia sotto il profilo tattico che strategico: incapace di analizzare correttamente il campo di battaglia su cui muoveva le sue truppe, più volte inviò i suoi uomini all’attacco “alla cieca”, sprovvisti di adeguata copertura aerea e in condizioni tattiche tali da vanificare i vantaggi in termini di mezzi a disposizione. Secondo alcuni esperti, Haftar si mostrò spesso esitante e la sua mancanza di risolutezza costò la vita a molti uomini. Tra gli errori più clamorosi imputatigli va ricordato l’invio di convogli libici a Fada, allo scopo di riconquistare la città, che causò perdite enormi: all’alba del 20 marzo 1987 persero la vita 800 soldati, più di 40 carri armati caddero in mani nemiche e decine di veicoli corazzati andarono distrutti. Una sconfitta memorabile.
Nel corso delle operazioni Haftar non fu mai in grado di raccogliere informazioni sui piani di attacco del nemico, che riusciva ad assaltare indisturbato le sue retrovie, uccidendo i libici a centinaia. Alla fine, tra il 22 e il 23 marzo del 1987 le ormai stanche forze residue di Haftar, circa 300 uomini, furono catturate dagli avversari durante la battaglia di Uadi Dum.
L’ultima fase del conflitto è passata alla storia come la “Guerra delle Toyota”, ovvero i pickup Toyota Hilux che, corredati dalle mitragliatrici fornite ai ciadiani dalla Francia, decisero le sorti della guerra.
Pur avendo a disposizione colonne di carri armati, lanciarazzi multipli e aviazione, Haftar fu sconfitto da un avversario dotato di 400 pickup con mitragliatrici, con un bilancio finale desolante: 7500 libici persero la vita nel corso della guerra e attrezzature militari per oltre 1,5 miliardi di dollari caddero nelle mani del nemico o andarono distrutte. Tra i ciadiani le vittime furono circa un migliaio.
Alla luce di questa sconfitta appaiono più chiare le ragioni per cui Gheddafi non si impegnò a riscattare Haftar caduto prigioniero. L’antico compagno d’armi dei tempi della Rivoluzione si era rivelato un pessimo comandante che aveva procurato un’onta imperdonabile all’onore militare libico.
E’ legittimo a questo punto chiedersi se gli attuali rovesci militari non dipendano da quelle stesse lacune, in termini di capacità di comando, già dimostrate da Haftar in Ciad. Come allora la ritirata da Tripoli fa seguito ad un attacco condotto con forze e mezzi soverchianti che per l’irresolutezza del generale non si è rivelato decisivo e che oggi rischia di travolgere definitivamente le ambizioni di vittoria dell’LNA.