Stavo passeggiando a Central Park ieri mattina, l’aria di aprile che mi svegliava come un espresso doppio, quando un tipo con un cappotto scuro e l’aria di chi la sa lunga mi ha fermato vicino al Bethesda Fountain. “Ti sei mai chiesto se i dazi di Trump sono più di quello che sembrano?” mi ha detto, porgendomi un caffè prima di svanire nella folla come un’ombra. Nessun nome, solo un’idea che mi gira in testa da allora: e se Trump stesse orchestrando un nuovo ordine mondiale, con Stati Uniti e Cina a spartirsi il potere, la Russia come comparsa di lusso, e l’Unione Europea che si sgretola come un vecchio edificio abbandonato? Un uccellino, mi ha detto, gli ha spifferato tutto. E ora ve lo racconto io, con quel tocco di mistero che mi fa ancora guardare le luci di Manhattan con gli occhi spalancati.
Immaginate Trump alla sua scrivania, non solo incazzato per quel deficit da 300 miliardi con la Cina, ma con un piano più grande: un tavolo globale con due sedie, una per lui e una per Xi Jinping. I dazi del 34% sulla Cina – che salgono al 54% con le vecchie tariffe – non sono un pugno per mandarla al tappeto, ma un modo per farla sedere e trattare. Su X lo dicevano ieri, e Newsweek lo ha buttato lì il 6 aprile: un G2, un mondo a due velocità dove USA e Cina si dividono la torta. Trump ha sempre avuto un debole per Xi – “un leader tosto”, lo chiamava su Fox nel 2019 – e il Phase One Deal del 2020 era un assaggio di questa partita. I mercati cinesi sono un disastro – Shanghai giù del 7,34%, Hong Kong del 13,22% il 7 aprile (numeri da Bloomberg) – e il dollaro che perde terreno, con lo yuan su del 5%, sta tagliando 55-110 miliardi dai 1,1 trilioni di Treasury cinesi (Tesoro USA, 2024). Ma non è una fine: è una mossa. Trump potrebbe volere una Cina forte, che compri più grano dal Midwest e lasci stare i sogni tech troppo ambiziosi. Le esercitazioni vicino a Taiwan il 2 aprile (Xinhua)? Xi che mostra i muscoli, ma Washington ha risposto con parole, non armi. L’uccellino mi ha detto che Trump è ok con una Cina superpotenza, purché balli al suo ritmo.
Poi c’è la Russia, quel giocatore silenzioso che Trump non tocca. Zero dazi per Mosca, mentre Cina, UE, Giappone e India si prendono la loro dose. Il commercio con la Cina è a 240 miliardi (Rosstat, 2024), e col petrolio a 61,99 dollari il 7 aprile (Reuters), Putin sta facendo cassa vendendo a Pechino. Lui e Xi si sono sentiti il 2 aprile, parlando di “cooperazione contro il protezionismo” (TASS), ma Trump non ha battuto ciglio. Ricordate Helsinki 2018? Lui e Putin, zero drammi, solo un cenno. L’uccellino mi ha sussurrato che potrebbe esserci un accordo non detto: “Ti lascio il tuo angolo – pace in Ucraina, gas per l’Asia – ma non ti siedi coi grandi”. La Russia si prende un posto da potenza regionale, fa i suoi giri senza alzare troppo la cresta. Trump la tiene calma, così non si lega alla Cina e gli crea problemi.
Occhio alla tenuta della UE
Ma il vero colpaccio, secondo questo tipo di Central Park, è l’Unione Europea. I dazi del 20% hanno messo l’Europa in ginocchio: DAX tedesco giù del 3,01%, FTSE MIB italiano del 5,18%, CAC 40 francese del 3,31% il 7 aprile (Bloomberg). La Germania, con un -1% di PIL previsto per il 2025 (Bundesbank), perde 20-30 miliardi di export verso gli USA (153 miliardi totali, 2024), e l’Italia ha lo spread a 200 (Banca d’Italia). Trump non ha mai digerito l’UE – “peggio della Cina”, diceva su CBS nel 2018 – e la Brexit gli ha fatto luccicare gli occhi. L’uccellino dice che per lui l’Europa è un bluff: si è gasata con il GDPR e le chiacchiere di Macron sull’autonomia, ma senza un esercito o un bilancio unico è un castello di sabbia. I dazi sono la tempesta che lo abbatte. Il Regno Unito, con solo il 10%, è il preferito di Trump, mentre l’UE si spacca: la Germania, con 250 miliardi di scambi con la Cina (2024), potrebbe correre da Pechino; l’Italia, con 50 miliardi di export USA a rischio, potrebbe cercare un accordo sottobanco con Washington, fregandosene dei trattati (art. 207 TFUE); la Francia resta nel mezzo, indecisa. Se l’UE crolla, Trump si ritrova un mucchio di stati che si azzuffano, nessuno abbastanza forte da contare.
Giorgia Meloni, l’unica con la postura adeguata a salvare Italia ed Europa
E a casa nostra? Giorgia Meloni sta tenendo la barra dritta, l’unica con una postura che spacca in questo casino. Mentre l’Europa litiga, lei sta provando a spegnere il fuoco di una guerra commerciale tra UE e USA, organizzando un viaggio negli States per riaprire il dialogo e negoziare. Lo ha detto chiaro il 4 aprile, dopo un incontro con Starmer e Albanese (Reuters): “Non possiamo lasciare che il commercio globale diventi un Far West”. Per un italo-americano come me, vedere Giorgia prendere il timone è un orgoglio: sta difendendo i 50 miliardi di export italiano – moda, cibo, macchinari – e cercando di tenere l’Italia fuori dal disastro dell’UE. Tra Germania che guarda a Oriente e Francia che tentenna, Meloni potrebbe essere quella che salva la faccia al Belpaese, negoziando con Trump per un deal che ci tenga a galla e pari il didietro all’Europa. Le dovrebbero fare una statua!
Il resto del mondo non è al top
Gli altri? Giappone (24%, Nikkei -2,75%) e India (26%, PIL -0,1% al 2028, Today.it) si prendono i dazi ma restano alleati nell’Indopacifico, non al top. Regno Unito e Australia, col 10%, sono i fedelissimi di Trump (AUKUS). Turchia (10%) e Israele (17%) giocano le loro carte in Medio Oriente. L’uccellino mi ha dipinto un mondo diviso: USA e Cina al comando, la Russia che fa il suo gioco nei limiti, e l’UE che si dissolve, punita per aver voluto fare la grande senza il peso per reggerlo.
La tentazione eurasiatica: rischi e pericoli
Ma c’è un rischio. Se la Germania trascina l’UE verso la Cina – con Francia (30 miliardi di export) e Italia (15 miliardi) che magari ci stanno per disperazione – Trump si ritrova un blocco eurasiatico che lo mette all’angolo. Se la Russia si stufa di fare la comparsa e si allea con Pechino, è un problema grosso. E Wall Street, giù del 5,9% (S&P 500), con l’inflazione che sale, potrebbe farlo sudare freddo. Eppure, se “la sa lunga”, come dicevano su X ieri, Trump ha calcolato tutto: dazi per spezzare l’UE, un amo per la Cina, un osso per la Russia.
Nessuna prova solida, solo numeri, mercati in tilt e un tizio con un cappotto scuro. Chissà se è vero? Me lo chiedo mentre guardo NYC dalla finestra, quel caffè ancora caldo in mano.