Conclusa come era ormai scontato che finisse la vicenda Gregoretti – ossia con l’autorizzazione concessa dalla maggioranza giallorossa del Senato al processo per sequestro di persona nei confronti di Matteo Salvini – si è chiusa una pagina grottesca della politica parlamentare e si è aperta allo stesso tempo una voragine pericolosa per la tenuta democratica e sociale dell’Italia.
Ciò che è andato in scena ieri, infatti, solo per una parte ha riguardato la vicenda specifica riguardante il leader della Lega ed ex ministro dell’Interno, su cui il Tribunale dei ministri di Catania ha richiesto l’autorizzazione a procedere (nonostante il caso fotocopia della Diciotti abbia già stabilito l’orientamento dei “giudici” del Senato e la pronuncia della Procura di Catania abbia chiesto l’archiviazione del procedimento specifico). Certo, ad essere compromesso, da adesso, è il principio cardine dello Stato occidentale, ossia quello della separazione dei poteri, nel momento in cui la politica ha scelto di aprire letteralmente le porte al potere giudiziario affidando a questo il diritto di stabilire che cosa è un atto di governo o no. Per questo motivo Giorgia Meloni ha scelto di manifestare anche con la propria presenza a palazzo Madama la solidarietà nei confronti dell’alleato ribandendo assieme a ciò la discrezionalità propria dell’azione della politica: «Difendiamo il sacrosanto diritto di un ministro a fare quello per cui gli italiani lo hanno votato – ha spiegato la leader di Fratelli d’Italia -, perché senza questa libertà è finita la democrazia».
Se questo voto ha rappresentato un cedimento strutturale, un autogoal voluto da una parte del potere legislativo che crede di poter ottenere per giudiziaria ciò che nelle urne è una chimera, c’è qualcosa di altrettanto pernicioso che utilizzerà come dispositivo proprio ciò che il Senato ha irresponsabilmente votato: uscito dalla porta (grazie proprio alla denuncia di FdI), da ieri il Global Compact infatti è rientrato dalla finestra. Lo ha evidenziato nel suo intervento in Aula il senatore Giovanbattista Fazzolari: «Nel caso della Gregoretti non si vuole solo perseguire pretestuosamente la finalità di far fuori un avversario politico con strumenti giudiziari, ma si vuole ancora più gravemente far passare il principio secondo il quale uno Stato non ha diritto a difendere i propri confini».
Già, lasciare che la magistratura possa sindacare sull’operato di un governo, guarda caso proprio in materia di immigrazione, non sembra per nulla una coincidenza. Se a ciò si aggiungono i tentativi dei network sovranazionali di scavalcare su questo la legislazione degli Stati sovrani si capisce bene il meccanismo in nome del quale settori della giustizia italiana tentano di ottenere ciò che la sinistra e i 5 Stelle non sono riusciti a fare. «Si vuole in buona sostanza far passare il principio del Global compact, e cioè che l’immigrazione è un diritto inalienabile dell’uomo e che quindi uno Stato non può compiere alcuna azione contro l’immigrazione illegale e questo non lo possiamo condividere», ha chiarito Fazzolari. Di fronte ad una scelta «politicamente legittima» come quella di Salvini sul caso Gregoretti dunque, accettare solo il fatto di avallare il benestare della magistratura secondo FdI «apre la strada a precedenti molto pericolosi». Di fatto a una sorta di “Repubblica giudiziaria”, a vocazione globalista, alimentata da un esecutivo – frutto di un ribaltone – che accetta di far mettere a processo il leader dell’opposizione per una prassi (far attendere le navi in attesa di redistribuzione) che anche l’attuale governo ripropone. Se non è un’emergenza democratica questa…