Violenza e identità di genere. J.K. Rowling, una donna contro il conformismo

La giornata dedicata alla violenza sulle donne è trascorsa con i consueti appelli delle istituzioni politiche, del mondo della cultura e della società civile contro ogni forma di offesa e abuso nei confronti dell’universo umano di natura femminile. Materia grave e di urgenza permanente, la violenza contro le donne è stata interpretata in questi anni con accenti, sensibilità e retoriche molto diverse. Sulla questione, come in altre, davvero apprezzabile è la presenza sulla scena pubblica di una delle grandi protagoniste della letteratura contemporanea, la scrittrice inglese J.K. Rowling. Sceneggiatrice, produttrice cinematografica e soprattutto autrice di “Harry Potter”, la più grande saga narrativa del terzo millennio, la Rowling ha conosciuto sulla sua pelle la violenza fisica e la sofferenza morale. La sua vicenda personale, molto ben rappresentata anche dal film “Parole magiche – La storia di J.K. Rowling” (Magic Beyond Words: The J.K. Rowling Story), diretto da Paul A. Kaufman e ispirato alla biografia scritta da Sean Smith, è inequivocabile. Cresciuta in un ambiente familiare modesto e madre single, proprio dopo i maltrattamenti che la costrinsero a divorziare dal primo marito, la Rowling è conosciuta anche per il suo impegno sociale e filantropico, del tutto indipendente e oltre ogni pregiudizio ideologico. Femminista senza appartenenze, liberale più che liberal, “di sinistra” in senso del tutto individuale e senza lesinare critiche alla sinistra politica britannica, è stata ambasciatrice e militante solitaria di tante cause sociali: dal sostegno alle famiglie mono-genitoriali alla lotta contro la povertà delle fasce più deboli della popolazione, dalla creazione di un fondo per la ricerca della piccola Madeleine McCann, la bambina inglese scomparsa in Portogallo mentre era in vacanza con la famiglia, alla partecipazione in prima linea nella lotta contro la sclerosi multipla di cui morì l’amata mamma: a lei è dedicata la “Anne Rowling Regenerative Neurology Clinic” di Edimburgo, ormai eccellenza mondiale nelle cure delle malattia degenerative e costruita con una donazione di oltre 15 milioni di sterline da parte della scrittrice.

Il non conformismo della Rowling non ha mai risparmiato nessuno. Nell’ottobre del 2015, insieme a oltre un centinaio di intellettuali e artisti britannici, è stata firmataria della lettera pubblicata sul The Guardian contro il boicottaggio di Israele. Contestualmente, si istituiva il network internazionale “Culture for Coexistence” per il dialogo in Medio Oriente nella logica della “two-state solution” e della pacifica autodeterminazione dei popoli israeliano e palestinese. La Rowling non fu mai benevola con la politica di sicurezza praticata dall’allora premier Benjamin Netanyahu, ma non aderì mai alle campagne di criminalizzazione nei confronti dello Stato d’Israele, da sempre molto di moda nei salotti della sinistra culturale.

Nel dibattito pubblico inglese fu indipendente pur non nascondendo le sue simpatie politiche per il Labour Party che finanziò privatamente con un milione di sterline. Fu amica del successore di Tony Blair, lo scozzese Gordon Brown, ma non ha esitato ad accusare il laburista Jeremy Corbyn di antisemitismo. In gioventù fu talmente devota dell’attivista Jessica Mitford, che negli anni ‘50 militò nel Partito Comunista e fu chiamata a testimoniare dalla Commissione investigativa per le attività anti-americane della Camera dei Rappresentanti degli Stati Uniti, da chiamare la figlia con lo stesso nome. Nondimeno, ha amato l’America elogiando Robert Kennedy e i grandi leader del Partito Democratico. Mai benevola con i Tories, ha  riconosciuto a David Cameron lo sforzo innovatore e l’impegno per un Partito Conservatore aperto e dialogante.

Contraria alla Brexit, ha sostenuto la causa della permanenza del Regno Unito nell’Europa politica, rivendicando il suo internazionalismo, le radici francesi della madre e il suo profondo rapporto con il continente.

Ai giorni nostri, la Rowling ha mostrato il suo coraggio civile sfidando il conformismo della “cancel culture” e delle nuove forme del “politicamente corretto”, l’ideologia gender in primis.

Nel 2019, ha difeso Maya Forstater, la ricercatrice del Centre for Global Development di Londra a cui non fu rinnovato il contratto di lavoro per aver dichiarato di credere nella immutabilità e nella oggettività del sesso biologico. Trans o meno, le donne rimangono tali, in tutto e per tutto. La Rowling dichiarò che Maya Forstater era stata licenziata “per aver affermato che il sesso è una cosa reale”, finendo davanti al plotone di esecuzione del vittimismo genderista.

Lo scorso anno, la scrittrice è tornata sull’argomento affermando che “se il sesso non fosse reale, allora non potrebbe esserci neanche alcuna attrazione tra persone dello stesso sesso. Se il sesso non fosse reale, verrebbe meno la realtà vissuta da tutte le donne. […] Cancellare il concetto di sesso significa non dare la possibilità a molti di discutere delle proprie vite”. Un affronto senza precedenti ai dogmi del politicamente corretto. Le accuse di “transfobia” piovono ancora oggi a dismisura, come le minacce, senza argomentazioni e nella totale ignoranza del suo pensiero.  La Rowling, infatti, ha pubblicato un saggio su “questioni di sesso e genere” in cui ha ripetutamente dichiarato di riconoscere il diritto delle persone trans a vivere la propria condizione senza paura. Piuttosto, la Rowling ha criticato il “self-id” e quella radicalizzazione del concetto di “genere” che nega il concetto di “sesso” e la sua realtà biologica. Vicina alla corrente “Gender Critical” del femminismo britannico, la Rowling si limita a denunciare la deriva ideologica e violenta dell’identità di genere e la paradossale discriminazione culturale di quanti non si conformano ai nuovi totem e tabù della cultura progressista.

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