Da gennaio 2023 a oggi, secondo il report curato dal Servizio analisi criminale della direzione centrale della polizia criminale, in Italia sono stati commessi 285 omicidi: tra questi, sono 102 le vittime donne, di cui 82 uccise in ambito familiare/affettivo. Tra queste, sottolinea l’analisi del Viminale, 53 donne hanno trovato la morte per mano del partner o di un ex partner. Una statistica drammatica che, chiarisce l’indagine, è aumentata rispetto allo scorso anno e che rischia di crescere ancora da qui ai prossimi mesi. Guardando i numeri, aggiornati al 12 novembre, si vede un aumento dei delitti commessi in ambito familiare/affettivo, che passano da 120 a 125 (+4%), e risulta in salita, rispetto al 2022, sia il numero degli omicidi commessi dal partner o ex partner, che da 56 diventano 58 (+4%), che quello delle relative vittime donne, le quali da 51 passano a 53 (+4%).
Con l’ultima brutale uccisione, quella di Giulia Cecchettin, il numero totale di donne uccise dall’inizio dell’anno sale dunque a 105.
LE MISURE DEL GOVERNO MELONI
Fin dal suo insediamento, il Governo Meloni ha intrapreso numerose iniziative e approvato provvedimenti normativi per porre rimedio al fenomeno, sia dal punto di vista del contrasto, sia dal punto di vista della prevenzione. Di seguito riassumiamo i principali:
Incremento dei fondi per i centri anti-violenza
Sono stati quasi raddoppiati, passando in maniera strutturale da 35 a 55 milioni (+ 20 milioni), i fondi per il finanziamento del piano anti-violenza (dunque destinati a centri anti- violenza, case rifugio e simili). Si tratta dell’importo più alto di sempre. A questi vanno
aggiunti, per quest’anno, 9 milioni stanziati dal Ministero per le Pari Opportunità per l’empowerment delle donne vittime di violenza.
DDL Femminicidio
Il 7 giugno 2023, il Consiglio dei Ministri, su proposta del Ministro per la famiglia, la natalità e le pari opportunità Eugenia Roccella, del Ministro dell’interno Matteo Piantedosi e del Ministro della giustizia Carlo Nordio, ha approvato un disegno di legge recante “Disposizioni per il contrasto alla violenza sulle donne e contro la violenza domestica”, divenuto giornalisticamente noto come “DDL femminicidio” o “DDL Violenza donne”. Questo disegno di legge, nel solco del cosiddetto “Codice rosso”, rafforza le norme anti- violenza soprattutto sul fronte della prevenzione, per fermare le situazioni violente prima che si giunga a conseguenze irreparabili, come la morte della donna vittima di violenza. Il provvedimento contiene, tra l’altro, il rafforzamento di strumenti come l’ammonimento, la distanza minima di avvicinamento e il braccialetto elettronico. Sono previsti tempi stringenti (ossia 20 giorni) per la valutazione del rischio e l’adozione delle misure cautelari da parte dell’autorità giudiziaria, arresto in flagranza differite, procedure che favoriscono la specializzazione dei magistrati sul tema. È prevista l’istituzione di linee guida per la formazione del personale.
Campagne di diffusione del numero verde anti-violenza 1522
Sono state promosse campagne di diffusione del numero 1522, mediante spot, accordi con enti e reti di servizi, come, ad esempio Poste italiane. Inoltre, il numero 1522 è stato diffuso anche in vista della giornata internazionale contro la violenza, mediante il coinvolgimento del mondo dello sport.
Iniziative di sensibilizzazione nelle scuole
Sono state predisposte iniziative di sensibilizzazione e prevenzione della violenza rivolte al mondo della scuola, con il coinvolgimento attivo dei ragazzi e la stimolazione della loro creatività.
Reso strutturale il reddito di libertà
È stato rifinanziato con la nuova legge di bilancio e reso strutturale il cosiddetto “reddito di libertà”, ossia un contributo economico per le donne vittime di violenza.
Avvio di un lavoro sulle linee guida per la formazione del personale
Si sta lavorando a linee guida per la formazione del personale a vario titolo coinvolto nelle situazioni di violenza: forze dell’ordine, personale sanitario, magistratura e servizi sociali. L’obiettivo è quello di rendere queste categorie consapevoli del fenomeno, affinché possano anche riconoscerne i segnali.
Predisposizione dei decreti attuativi della legge sulla raccolta dati
Sono in fase di predisposizione i decreti attuativi della legge per una raccolta dati ragionata e mirata sulla violenza contro le donne, al fine di contrastare e prevenire il fenomeno anche attraverso lo strumento dei dati.
Contrasto all’esposizione dei minori a contenuti pornografici
Nel cosiddetto decreto Caivano è stata introdotta una norma che favorisce la diffusione del parental control, il sistema che consente ai genitori di verificare tempi e contenuti dell’esposizione dei minori al web in particolare con riferimento a violenza e pornografia5.
Le differenti forme di violenze, maturate prevalentemente nell’ambiente domestico e familiare o nelle relazioni affettive quale deriva aberrante e patologica dell’interruzione di un legame, sono oggi al centro di un vivace dibattito politico e sociale. Il fenomeno, come emerge dai dati del Viminale, è in aumento e penetra in modo sempre più incisivo all’interno del tessuto sociale, coinvolgendo anche le fasce d’età più giovani: i recenti fatti di cronaca ne sono un fulgido esempio.
Il partito di maggioranza al governo, Fratelli d’Italia, è sempre stato in prima linea nella lotta alla violenza contro le donne: nel 2013, Giorgia Meloni è stata la prima firmataria della proposta di legge di ratifica della Convenzione di Istanbul6: la Convenzione, infatti, rappresenta il primo strumento internazionale giuridicamente vincolante per la prevenzione e il contrasto della violenza di genere.
Sono profondamente convinto che il Primo Ministro Giorgia Meloni abbia la volontà e la cultura per portare al cambiamento necessario, e probabilmente lo stesso sentimento è nel resto del Governo..
Purtroppo l’elenco dei provvedimenti sopra indicato mi sembra veramente troppo blando.
La violenza contro le donne è un cancro, non possiamo curarlo come un raffreddore.
Ritengo necessario un drastico inasprimento delle pene e dei provvedimenti restrittivi in caso di violenza tra persone che abbiano o abbiano avuto legami affettivi e in generale contro le donne. Sarebbe anche un segnale “culturale” più concreto e comprensibile di un discorsetto in un’aula di scuola.
Arresti domiciliari? Braccialetti elettronici? Divieti di avvicinamento? Ma ci rendiamo conto con chi abbiamo a che fare? Sono soggetti di estrema pericolosità e mossi da pulsioni irrazionali non controllabili con questi provvedimenti sensati solo se i sottoposti si comportano razionalmente, quindi non in questi casi.
Anche la mentalità dei magistrati dovrebbe essere riformata, sottovalutano sempre i segnali di violenza.
Occorre rafforzare la sicurezza delle vittime di violenza, nell’unico modo possibile: la carcerazione dei responsabili delle violenze, la sospensione di tutte le attenuanti e la previsione di specifiche aggravanti.
La sicurezza delle vittime è l’obiettivo principale.
Nessuno tocchi Caino? Cominciamo a non toccare Abele, a rieducare Caino ci si penserà poi.
Con affetto
Alessandro
Ben detto, Alessandro. Finché ci saranno ‘sulla piazza’ dei giudici (così si fanno chiamare!) che vedono attenuanti dove non ci sono, disagio sociale e “scusanti varie”, che non riconoscono la premeditazione, la crudeltà, la recidiva e tutta una lunga serie di aggravanti giuridiche affidate alla loro personale ed esclusiva interpretazione, avremo sempre assassini in giro per il Paese. Propongo di fare scontare in galera ai giudici stessi lo sconto di pena che loro stessi hanno sottratto alla condanna esemplare inflitta ad omicidi, stupratori, scippatori e delinquenti delle varie specialità. Forse sarebbero un po’ meno magnanimi e buonisti.
Caro Gustavo, vorrei solo aggiungere una cosa: quei signori purtroppo non “si fanno chiamare” giudici, ma sono investiti di tale ruolo come dipendenti dell’amministrazione pubblica, con stipendi da 20.000 euro al mese, tre mesi di ferie e tre ore alla settimana in tribunale, e non rispondono a nessuno di quello che fanno, nel nome dell'”autonomia” della magistratura!.
Che ci sia qualcuno che istituzionalmente non risponda a nessuno del suo operato non è democrazia, praticamente è “teocrazia”. Rispondono solo a se stessi, o al loro dio personale. E’ un fatto profondamente immorale che grida vendetta rispetto a quanti lavorano e rispondono di quello che fanno al cliente, all’azienda per cui lavorano, ai cittadini…
E’ assolutamente necessaria, a questo proposito, la separazione delle carriere, dei ruoli amministrativi e dei profili professionali, tra PM e Giudici.
I PM sono avvocati di accusa, i Giudici dovrebbero essere “sopra le parti”. Sono due ruoli con cultura e formazione assolutamente inconciliabili.
Ma è ancora più necessaria la riforma del CSM, rendendolo “terzo” al corpo della magistratura. Lupo non mangia lupo.
Facciamo valutare l’operato di un giudice da un altro giudice? Ma non facciamo ridere.
Con affetto
Alessandro