Vogliono mettere il silenziatore all’opposizione.

In questa strana stagione battezzata Terza Repubblica, nella quale l’Italia si ritrova il terzo governo in meno di tre anni frutto di tre maggioranze diverse, l’anomalia qual è? Bizzarro ma vero: l’opposizione.

Ossia l’unica forza politica che, dal 2018 ad oggi, è risultata irriducibile a ogni “formula” che non preveda il diretto mandato popolare. Una posizione, questa di Giorgia Meloni e Fratelli d’Italia, che evidentemente in quest’ultima fase irrita così tanto gli ingegneri politici al lavoro per il “partito unico” da risultare inaccettabile.

A maggior ragione perché si tratta di una posizione premiata dall’elettorato, di mese in mese, tanto da arrivare ormai alle soglie 20%: e questo non alla luce di una presunta «rendita di opposizione» – come gracchiano i maligni – ma proprio per la capacità di incidere sull’agenda politica da forza patriottica, essendosi dimostrata evidentemente ben più performante agli occhi dell’opinione pubblica di molti dei partiti di governo.

Tutto ciò, come risulta plastico, è “troppo” per il network che intende innestare l’attuale schema del governo di emergenza come paradigma con cui innervare i futuri esecutivi: nel segno di una continuità programmatica e metodologica – una sorta di modello tedesco a trazione “eurolirica” senza il conforto del sistema economico e della sovranità teutonica – all’interno di una parvenza di logica dell’alternanza. Per ottenere lo scopo, però, è necessario in qualche modo annichilire, se non proprio annullare, “questa” opposizione.

Questa “destra”. E per ottenere questo scopo il tentativo di salto di qualità – proprio in queste ultime settimane coincise con l’avvio dell’esecutivo Draghi – è visibile a occhio nudo.
Come? Prima con gli attacchi alla “lesa maestà” rivolti nei confronti del leader di Giorgia Meloni e di Fratelli d’Italia. Come se non accettare la formula del governissimo a scatola chiusa, senza alcun vincolo scaturito dal consenso e con una procedura unica in Occidente (solo in Italia il ricorso alle urne è considerato un “rischio”), sia stato un peccato contro la Repubblica e non esattamente l’opposto: ossia un preciso dovere, aderente al bilanciamento previsto dalla grammatica costituzionale.

Poi, una volta affrontato il capitolo del nuovo governo sulla qualità della sua proposta – con un cotè che coinvolge più del 40% di esponenti del governo Conte II – ci hanno pensato gli attacchi misogini, razzisti ed elitisti dei vari Gozzini & compagni ad evidenziare il tasso di odio nei confronti dell’intervento del leader di FdI alla Camera: un discorso che ha qualificato un’opposizione inedita per la politica italiana, attenta a stimolare il nuovo premier sulla causa nazionale e non lanciare strali augurandosi il tanto peggio tanto meglio.

Un atteggiamento, corroborato dalle prime prove non proprio esaltanti del “governo dei migliori”, che ha mandato in tilt la rive gauche, costretta a convivere con Lega e Forza Italia al governo e a dover subire un’opposizione che interpreta il 30% degli italiani che si sentono già esclusi dalla formula e dalle ricette delle larghe intese: una percentuale destinata ad allargarsi nei prossimi mesi.

L’ultimo tentativo di annullare l’unica opposizione è stata la macchina del fango attivata ieri sulla “gazzetta delle procure”: le colonne di Repubblica. Parliamo della fantomatica rivelazione del pentito Agostino Riccardo alla Dda di Roma in cui si accusa il leader di Fratelli d’Italia di aver dato 35mila euro, in una busta del pane al distributore di fronte al bar Shangri-la all’Eur di Roma, a un clan di nomadi per l’affissione di manifesti in occasione della campagna elettorale del 2013.

Un presunto episodio sul quale non esiste alcuna indagine a carico di Giorgia Meloni (che ha ovviamente smentito punto su punto, annunciando querele) o dei dirigenti di FdI: segno che nessun magistrato in otto anni ha trovato alcun appiglio con cui sostanziare minimamente le accuse. Eppure il quotidiano della sinistra riflessiva ha pensato bene di dare in pasto all’opinione pubblica gli stralci di una deposizione del genere (sulla quale non è dato sapere come ne sia venuta in possesso) proprio adesso e senza contraddittorio.

Ossia nel momento in cui è vitale il ruolo di watchdog, di “cane da guardia”, dell’opposizione sull’operato di un governo che manifesta volontà “chiusuriste” più forti e restrittive di quelle dello stesso Conte II; nonché elementi di opacità e poca trasparenza che non fanno ben sperare riguardo al diritto degli italiani di essere messi a conoscenza sui motivi in base ai quali si continua a privarli via Dpcm dei loro diritti fondamentali.

Il sospetto, insomma, è che la voglia di mettere il silenziatore – con le buone ma soprattutto con le cattive – all’opposizione patriottica e al suo leader sia tanta: a maggior ragione visto il successo elettorale di FdI alle spese proprio di due partiti, Pd e 5 Stelle, finiti nel vortice del fallimento e delle contraddizioni. Inquietante è anche il parallelo messo in evidenza da Giorgia Meloni: il reato di cui sarebbe accusata è frode elettorale, «lo stesso di Aung San Suu Kyi in Myanmar», vittima di un colpo di Stato. «Così fanno i regimi – ha chiosato Meloni –, ma noi non siamo in un regime: vedere metodi che ricordano il Myanmar non promette bene».

Già, perché se è vero che non siamo in un regime, ciò che sta accadendo nei confronti dell’unica opposizione non è di certo un segnale di buona salute per la nostra democrazia. Urge rapidamente un vaccino anche per questo.

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